«Faccio una ricerca su Internet» è una frase grimaldello che si sente spesso e che ha assunto un’aura quasi da sciamaneria. All’università, dove, peraltro, la rete svolge una funzione cruciale «la ricerca su Internet» si erge autoritaria e quasi minacciosa tra studenti e docenti e se i professori stessi l’hanno istigata, essa, tuttavia si alza come un feticcio inappellabile e indiscutibile. E il mondo, dalla rete, capitombola tra i nostri piedi, nel nostro tinello. Tutto a portata di mouse. Parafrasando Flaiano, quando sentivo dire da uno studente che aveva fatto una ricerca su Internet, mi veniva spontaneo commentare: «Sempre meglio che studiare.
Oggi è caduto il velo della lontananza e prevale il marasma globale che manovra le notizie molto di più e più ossessivamente di altri tempi, tempi di bonacce planetarie in cui la distanza fungeva da calmiere dei mercati e dei banditori che li governavano. Oggi la notizia è una specie di valuta, funziona come uno strumento di scambio monetario. Poi c’è la casualità che funziona da deterrente degli azzardi e da catalizzatore di processi comunicativi integrati nella vita politica.
È il caso del naufragio dell’ennesimo gommone a pochissime miglia dalla Libia nel quale si lamentano più di cento vittime, “migranti”. Notizia tremenda con la quale, con imbarazzo hanno avuto a che fare gli osservatori che stavano seguendo i lavori del Vertice Europeo circa la polemica sul dramma dell’invasione dei “migranti” dell’Europa e, segnatamente, di Italia, Spagna e Grecia. Il rimbombo dell’ultima riunione ha, in parte, opacizzato, e ingiustamente, la notizia che, in altri tempi, avrebbe avuto un’eco istruttiva e drammaticamente utile. Ma il gommone sgonfio e naufragato, a parte qualche titolo in prima pagina, si è allontanato nel tramonto terribile della nostra attenzione.
Una cameriera della mia infanzia, sentendo alla radio la notizia di un cataclisma, sospendeva ogni faccenda e prestava orecchio vigile e attento, trasalendo visibilmente, salvo a rifiatare sollevata se, alla fine del comunicato, lo speaker informava che l’evento era accaduto in una plaga lontana. Ho sempre sospettato una certa malizia del giornalista che partiva spettacolarmente con “Trecento dispersi in un terremoto…(pausa)…in Nuova Caledonia”. Antonietta si bloccava sui trecento dispersi con la bocca aperta e la scopa in mano, poi a “Nuova Caledonia” diceva “Ah, meno male” e riprendeva il lavoro tranquilla e indifferente a quegli sfortunati esotici e lontani.
Io, bambino, sapevo vagamente dove fosse la Nuova Caledonia grazie solo ai francobolli da collezione, ma mi dispiaceva lo stesso per i dispersi, in cuor mio speravo che li salvassero. La notizia per me c’era e drammatica. E i trecento, comunque, “facevano notizia”. Poveri loro.
Il centinaio di morti affogati non sono riusciti neanche ad “essere notizia”, archiviati come una coincidenza triste, tra gli effetti collaterali della notizia più fragorosa che l’Italia è stata presa in giro nella riunione a Bruxelles. Poveri disgraziati, sono stati scaraventati in mare tre giorni fa dal cinismo della maledetta delinquenza degli scafisti, ma, anche dall’indifferenza sostanziale della politica europea che non riesce o non vuole capire che le fughe vanno drasticamente scoraggiate con tenace pazienza, generosità, forza e decisione unitaria. Una contraddizione evidente arriva da quel gorgo omicida se ragioniamo sul fatto che con il Web oggi è dato a tutti di “fare le notizie” e la maggioranza non deve più accontentarsi di riceverle. I confini del villaggio si sono allargati a dismisura e, per conseguenza paradossale, il mondo si è rimpicciolito al punto che, finalmente, ci commuovono anche i terremoti in Asia o le epidemie in Africa. Il paese unico e globale che siamo diventati, grazie anche alla “rete”, non consente più indifferenza o disinteresse, però implica avidità di quella comunicazione ininterrotta che sembra prevalere sull’ottimo costume della notizia da dare quando c’è e solo quando c’è.
E questa volta c’era, la notizia, e come. E si sarebbe potuto ragionare sulle cause di questo interminabile naufragio di gommoni, corpi e certezze residuali della civiltà occidentale. E, invece hanno prevalso sul compìto rendiconto dei notiziari, le infinitesimali analisi dei risvolti politici della riunione europea. Avrebbero potuto, per esempio, avviare una discussione sulle responsabilità storiche di paesi che, oggi, abbandonano l’Italia al suo destino di avamposto inerme nel mediterraneo. Sono tutti i paesi che hanno praticato in larga scala un crudele e spietato colonialismo dissanguatore dell’Africa e che, dopo aver abbandonato il continente al suo disastroso destino di arretratezza politica, sociale ed economica, adesso si chiamano fuori dal dovere dell’accoglienza condivisa o dal coraggio di imprese vigorosamente salvifiche di un intero continente alla mercé dei nuovi colonialisti asiatici.
La notizia era questa. Punto. E, invece si è preferito narrare della riunione e ricorrere ai “forse” e ai “si dice” sul destino della coalizione di governo in Italia o, addirittura, spintonando la verità, al “prima o poi accadrà e, quindi, tanto vale…”. La morale di chi pratica questo stile è: meglio dire una bugia che rischiare di “bucare” la notizia che, in questo caso era, ed è, la vittoria della Merkel e le pive nel sacco dell’Italia. Tanto, poi, siamo sempre pronti a smentire. E chi s’è visto s’è visto.
Il disorientamento del lettore è grande e moltiplicato dal Web che frulla e distribuisce una quantità di informazioni che finiscono per nauseare come un’immane indigestione. Forse per sfamare il rovello che, innegabilmente inquieta i nostri sospetti o, forse, solo per sfamare il giornalista.
Bernanos scrisse: “Ad un certo punto uno scrittore deve scegliere tra il conservare la fiducia dei lettori o il perderla e che preferiva perderla anziché ingannarli.”
Michele Mirabella