È disponibile da oggi, giovedì 12 giugno 2025, su tutte le principali piattaforme digitali «È tempo di narrare», il primo EP di Proteo, nome d’arte di Nicolò Ayroldi, attore, rapper e scrittore originario di Molfetta e residente a Roma. Un progetto intenso, nato da una frattura personale e artistica: la fine prematura della sua carriera calcistica semiprofessionistica, spezzata da un infortunio a 18 anni. Da quella perdita è nato un bisogno profondo di rielaborazione e riscatto, culminato nella scrittura musicale, unico strumento per ritrovare se stesso. L’EP raccoglie otto tracce, tra cui sei singoli pubblicati nei mesi scorsi e due brani inediti, in cui si intrecciano autobiografia, introspezione e denuncia emotiva: «Un po’ di pace», e «Le pagine del passato».
I brani sono prodotti da una squadra di producer: Exa, Foot de Papera, Kuoni ed Esna, capaci di accompagnare la scrittura di Proteo con beat rap classici contaminati da influenze R&B e sonorità contemporanee.
«È tempo di narrare» nasce da una ferita e diventa rinascita: cosa l'ha spinta a trasformare il dolore in musica?
«Tutto ciò che è legato all’esprimersi nasce da un dolore e da un bisogno. Almeno per me nasce da una mancanza. Non credo di averlo capito, mi è successo, ho visto che attraverso l’hip hop e la scrittura potevo liberamente raccontare di me e del mio vissuto, senza celarmi dietro personaggi».
Nell'EP si parla di depressione, relazioni tossiche, speranza: c’è un brano che considera il più intimo o difficile da scrivere?
«Ci sono testi nati senza pensare troppo, testi invece un po’ più ricercati e costruiti. Ricordo che la notte che scrissi “Le pagine del passato” camminai per casa fumando sigarette su sigarette, perché avevo toccato un tema scottante per me. È stato difficile trovare un modo poetico e non esplicito per raccontare un trauma che mi ha segnato, di un rapporto d’amore quasi folle per certi versi. Ma forse “Un po’ di pace” è quello che mi ha richiesto più tempo di scrittura, era un monologo lungo 5 volte la canzone per quanto avessi bisogno di parlare di quell’argomento».
Ha definito «Chimera» una figura simbolica di trasformazione. In che modo si rispecchia in questa creatura mitologica oggi?
«Amo le trasformazioni, se ci ascoltassimo di più ci renderemmo conto che ogni secondo ci accade qualcosa. La difficoltà è accogliere il cambiamento e non spaventarsi. La chimera per me è un simbolo trascendentale, che connette il terreno con il divino, è un modo per scappare, o meglio allontanarsi dal quotidiano, dai pensieri consumistici. Simbolicamente è importante perché inseguo sempre qualcosa, utopie e credenze personali, è come se avessi bisogno di creare realtà e non avere paura della mia immaginazione. La chimera è coraggio di andare oltre l’ordinario».
Partito dal calcio, passato per il cabaret, slam poetry, scrittura e ora la musica: qual è il filo invisibile che unisce tutte queste esperienze?
«Il bisogno di esprimersi, e credo che il collante di tutto e la mia più grande salvezza sia stato il teatro, la recitazione. L’aspetto artigianale e quello performativo mi interessano molto, perché è un gioco, un gioco serio nel quale accade qualcosa di dionisiaco. L’incontro con il pubblico è tutto per me, anche il calcio è un grande palcoscenico. Sono tutti linguaggi purificatori, sia per lo spettatore che per chi performa».
Le sonorità dell’EP mescolano rap classico, R&B e influenze contemporanee. Come ha costruito questo mix, e quanto è stato importante il lavoro con i produttori?
«Ho scelto di lavorare con più produttori proprio per questo motivo. Avevo bisogno di avere input diversi con lo scopo di capire quali fossero le mie reazioni. Ascolto tanta musica ma un conto è ciò che desideri fare cercando di emulare anche inconsciamente gli artisti che ascolti, un conto è trovare una forma più personale e unica del tutto. Avevo bisogno di sperimentare e devo dire che ne ho ancora bisogno».
Nei testi si avverte una ricerca di verità e autenticità. Quanto conta che chi ascolta si senta rappresentato o coinvolto nelle sue parole?
«Tantissimo. Ma non è questa la mia ricerca. Credo sia una conseguenza del fatto che, se riesci a narrare la tua autenticità, più facilmente le canzoni possano creare più empatia o suscitare qualcosa che io non posso controllare. Per me le parole sono importantissime».
Guardando avanti: qual è la prossima narrazione che sente di voler affrontare?
«Sono in fase di lavorazione per il prossimo progetto e devo dire che la figura femminile mi sta pressando molto, entra nei miei testi molto facilmente. Quindi, considerando che in futuro si possano prendere rotte inaspettate, per adesso il femminile in tutti i suoi infiniti aspetti, e da ottiche differenti come filosofiche, quotidiane, mitologiche, mi sta facendo creare».