Chi guardava Sanremo alla fine degli anni ‘90 ricorderà i Quintorigo, band con una proposta eclettica e sperimentale che si è distinta nel panorama musicale grazie agli iconici archi, al sax e a una commistione di generi, dal rock al blues, passando per jazz e funky. Dopo i successi del Festival (Premio della Critica nel 1999 tra i Giovani con Rospo, Miglior Arrangiamento nel 2001 con Bentivoglio Angelina), una Targa Tenco per la migliore opera prima, e un ottimo seguito di pubblico, nel 2005 il cantante John De Leo lascia il gruppo, e comincia un lungo periodo di carriere parallele, lui da una parte, la band dall’altra.
Oggi, per i 25 anni - appunto - di Rospo, i Quintorigo sono tornati di nuovo insieme nella formazione originale, e sono nel mezzo di un tour che il prossimo 22 dicembre toccherà anche la Puglia, alla Casa delle Arti di Conversano (Ba), unica tappa nel Sud Italia. Una reunion che arriva anche dopo l’annuncio della stampa in vinile dei primi due dischi della band, Rospo e Grigio. La Gazzetta ha intercettato John De Leo e Valentino Bianchi, sassofonista, che insieme a Gionata Costa (violoncello), Andrea Costa (violino) e Stefano Ricci (contrabbasso), formano i Quintorigo.
Com’è arrivata la decisione di ritrovarvi a suonare insieme dopo tanti anni, e come vi sentite?
«Intanto siamo felici che il pubblico si ricordi ancora di noi: c’è un grande entusiasmo, molte date sono già sold out, i fan stanno rispondendo con energia. È nato tutto dalla proposta di stampare i primi dischi in vinile. John ha lanciato l’idea di rivederci e festeggiare con qualche concerto dal vivo, e siamo stati tutti d’accordo. Da tempo ci stavamo cercando, è arrivato tutto spontaneamente».
In questi anni avete una parte di pubblico che anche grazie ai social vi è sempre rimasta accanto...
«L’affetto ci sembra immutato, consolidato, anzi si è spostato verso altre generazioni, ed è sempre sorprendente e appagante per la fatica del lavoro che svolgiamo. Nonostante la separazione, chi ci apprezzava ha continuato a seguire entrambi i percorsi, c’è stato uno zoccolo duro che ci ha motivato, e forse non ci rendiamo conto fino in fondo di quanta gente si ricordi di noi. Siamo una band pop in quello che proponiamo, non ci sembra di fare nulla di difficile o troppo di nicchia, anche se ovviamente la nostra cifra stilistica resta la sperimentazione».
Prendere in mano i successi di 25 anni fa: cosa provate oggi che la vostra musica, anche per percorso naturale, si è evoluta?
«Provocatoriamente potremmo dire che non c’è stata nessuna evoluzione, soprattutto nell’approccio. Siamo attenti a 360 gradi, ci piace assaggiare, sperimentare, cercare generi nuovi e contaminazioni. A livello artistico o compositivo non ci sono stati grandi scossoni, poi il cambiamento è all’ordine del giorno, ma diciamo che al netto della tecnologia che possiamo applicare oggi, le cose più vecchie che suoniamo non ci disgustano, ci riconosciamo ancora. Già ritrovarci è stato un passo da giganti, per eventuali cose nuove andremo a piccole dosi. Restiamo ostinatamente noi stessi, la testardaggine ha a che fare con un approccio che mantiene una sua onestà intellettuale e soprattutto tanto amore per la musica».
C’è qualcosa di nuovo nel panorama attuale che vi piace particolarmente o qualcuno con cui vorreste collaborare?
«La musica è cambiata e anche noi lo siamo: ce n’è tanta, bellissima, anche se sempre meno nel corso degli anni, e soprattutto non in cima alle hit parade. I guizzi di originalità ci sono e la rete consente di esplorare nicchie del mondo inevitabilmente innovative. Poi di collaborazioni in passato ne abbiamo fatte tante, sarebbe interessante anche ricontattare chi ci ha accompagnato e regalato qualcosa».
In passato siete già stati in Puglia a suonare, avete qualche ricordo?
«È una regione che abbiamo toccato più volte, abbiamo belle memorie di festival a Leuca, Cisternino... È la regione che offre di più a livello culturale e musicale nel Mezzogiorno, anche qui abbiamo fan storici, è sempre un piacere ritornare».
Il bilancio di tutta la vostra storia artistica qual è? Cosa vi rende orgogliosi?
«Sembra retorica, ma forse è quello che ancora non abbiamo fatto insieme. Aggiungiamo un po’ di romanticismo e pragmatismo, facciamo che il più grande motivo di orgoglio sia quello che costruiamo oggi. Ci danno ancora credito dopo 25 anni, sentiamo addosso una responsabilità nei confronti di persone che scommettono ancora e si ricordano di noi».