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Specchia, a Palazzo Risolo spuntano due affreschi risalenti al Cinquecento

Specchia, a Palazzo Risolo spuntano due affreschi risalenti al Cinquecento

 
Mauro Ciardo

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Mauro Ciardo

Un ritratto della feudataria salentina Isabella De Capua e la scena della battaglia per liberare Otranto dal dominio turco

Venerdì 31 Gennaio 2025, 10:43

13:41

SPECCHIA - Un ritratto inedito di Isabella De Capua e una scena della battaglia di Otranto individuati tra gli affreschi cinquecenteschi di Palazzo Risolo.

La nostra Gazzetta del Mezzogiorno ha visitato in esclusiva un’ala della prestigiosa dimora privata, grazie alla disponibilità del proprietario, il manager Giuseppe Maria Ricchiuto (patron di grandi gruppi dell’industria erboristica e del benessere).

È stato il mecenate, che con il sapiente restauro della struttura e del ciclo pittorico ha voluto restituire un importante attrattore culturale alla comunità d’origine, ad accompagnarci.

«Riscoprire la storia di questo palazzo, quello che i nostri antenati hanno lasciato a Specchia – ha spiegato Ricchiuto - è servito da stimolo per portare avanti quest’opera di valorizzazione, che continuerà con eventi per ridare l’orgoglio ai cittadini di avere un passato di grande valore».

Con lui c’era l’esperto che, per primo, questi affreschi li ha studiati e analizzati, il professore Giovanni Perdicchia.

La scoperta di Perdicchia proietta questa realtà periferica salentina nel grande circuito delle corti nobiliari italiane.

Siamo all’interno del palazzo marchesale conosciuto come castello Risolo-Protonobilissimo, dimora signorile dal medioevo con gli Amendolea e i Del Balzo, che raggiunge il massimo splendore con i De Capua e i Gonzaga nel '500.

Qui sono tornate alla luce scene allegoriche con un programma iconografico elaborato.

«Tra le figure femminili ne spicca una che risalta le virtù morali della donna e moglie rinascimentale– spiega Perdicchia - senza alcun dubbio è Isabella De Capua, ritratta come la dea greca Estia, associata al focolare e nume tutelare della famiglia, con un velo in testa e reggente in mano il nodo nuziale simbolo di castità e unione. Dopo una lunga e attenta comparazione – aggiunge - il ritratto è riconducibile alla nobildonna, nata nel 1512 e morta nel 1559, principessa di Molfetta e contessa di Specchia e Alessano, figlia primogenita di Ferrante De Capua e Antonica del Balzo. Isabella è stata la consorte di Ferrante Gonzaga, conte di Guastalla, figlio del marchese di Mantova».

La certezza arriva dal confronto con altre opere sparse per l’Europa.

«Il confronto è dato dal dipinto della collezione di Ambras conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna – è l’analisi di Perdicchia – un piccolo ritratto postumo del 1582, copia da un originale perduto che rappresentava la giovane Isabella e che si ipotizza realizzato nei primi anni di matrimonio con Ferrante, quindi intorno agli anni ‘30 del XVI secolo. Possiamo osservare le stesse linee del volto, stesso naso leggermente aquilino, uguali labbra carnose ma ridotte in ampiezza, simili anche gli occhi e l’arcata sopracciliare, stesso piccolo mento e i capelli ricci. La corretta interpretazione – conferma – si deduce anche dall’altro ritratto riconosciuto e ufficiale della nobildonna, realizzato su una medaglia da Jacopo Nizzola da Trezzo tra il 1546 e 1553».

Una curiosità. Il prossimo 2 febbraio, festa della Candelora, ricorrerà l’anniversario del primo matrimonio di Isabella, che nel 1527 sposò il figlio del principe di Melfi, Traiano Caracciolo proprio in queste sale. L’unione venne annullata nel 1530 con un breve di Clemente VII, visto che non fu consumata per la tenera età dello sposo (11 anni). Nello stesso anno Isabella sposò poi Ferrante, con cui ebbe undici figli.

Il ritratto di Isabella non è l’unica meraviglia del ciclo affrescato, perché in un’altra sala è visibile un’inedita scena della battaglia di Otranto.

«La rappresentazione è legata alle vicende della liberazione della Città dei Martiri (1480-81) – aggiunge Perdicchia - con il centro ancora in mano ai turchi e assediato dalle truppe di Alfonso II d’Aragona. Sono rappresentati sullo sfondo la città, schiere di soldati a terra e cavalieri a cavallo, il porto e il mare, il ponte sul fiume Idro, soldati sulla cortina delle mura, alcune strutture isolate che potrebbero riferirsi al borgo esterno, e più in alto il monte della Minerva, luogo del martirio.  Otranto è rappresentato dopo le ricostruzioni fatte da Alfonso Duca di Calabria con l'edificazione della Porta Alfonsina, quindi nella condizione cinquecentesca. La scena – sottolinea - esalta la figura del condottiero Matteo De Capua a cavallo, che ebbe un ruolo di comando durante gli eventi per la liberazione ed era legato da vincoli parentali con i feudatari specchiesi. Le importanti anticipazioni sono state già pubblicate su una rivista culturale, ma l’intero ciclo – conclude - sarà descritto in una pubblicazione più ampia sulle varie stesure in accordo con i privati».

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