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Così l'emergenza Covid ha fatto precipitare il prezzo del latte in Puglia

 
Valentino Sgaramella

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Valentino Sgaramella

Le aziende acquistano un litro a 36 o 37 centesimi di euro, prima del lockdown gli allevatori strappavano fino a 41 centesimi

Venerdì 04 Settembre 2020, 10:07

BARI - Ci risiamo. È sempre la stessa storia. Allevatori da una parte e aziende lattiero-casearie dall’altra. Eterne incomprensioni. Il mondo degli allevatori è in subbuglio. Durante il lockdown sembrava che le aziende casearie avessero improvvisamente deciso di acquistare latte a prezzi più remunerativi per i produttori. Oggi, la situazione sul fronte prezzi sembra essere mutata.

Tre titolari di altrettante stalle, raccontano le loro esperienze. Chiedono l’anonimato per timori di possibili ritorsioni economiche. Il primo è un allevatore murgiano, territorio di Altamura, con un centinaio di bovini in stalla. «Senza il lavoro degli agricoltori e degli allevatori non si muove nulla. Siamo noi i produttori e non loro; la materia prima la produciamo noi ma è come se non fossimo proprietari del nostro prodotto. Noi siamo il carro trainante del settore lattiero-caseario ma nei fatti siamo diventati l’ultima ruota del carro». Il problema è il seguente. I prezzi al consumo, al dettaglio, per il consumatore che acquista latte e latticini in un caseificio, sarebbero lievitati rispetto al lockdown. «Prima della pandemia i commercianti, le aziende lattiero-casearie, vendevano le mozzarelle a 8 euro al chilo. Adesso, un chilo di mozzarelle in media costa al consumatore 9 euro. Viceversa, le aziende casearie acquistano il nostro latte non più a 41 centesimi come avveniva in pieno lockdown ma un litro di latte lo acquistano dalle nostre stalle a 36 o 37 centesimi».

Non basta. L’allevatore non ha dubbi. Si dice sicuro che nei caseifici giunga latte dall’Ue. Il che è assolutamente normale visto che facciamo parte integrante dell’Unione europea. «Forse non mi sono spiegato; qui arriva cagliata tedesca. E quando dico Germania intendo l’intera area ossia Olanda, Danimarca. In azienda quel latte viene trasformato con una semplice etichetta in latte tricolore, italiano. È sufficiente apporre un marchio. Quando noi acquistiamo un litro di latte leggiamo che è al 100 per cento italiano. In realtà, è una miscela in cui il 60 per cento è tedesco e il 40 per cento italiano». Ovviamente, tutto lecito. «È necessario essere sinceri con il consumatore. Lo stesso dicasi per scamorze e mozzarelle. Molte stalle stanno chiudendo i battenti perché ormai sono al fallimento». Chiede di parlare con urgenza il secondo allevatore che opera nelle campagne di Santeramo. «In macelleria, un chilo di fettine di vitello costa 15 o 16 euro. Alla stalla, noi vendiamo il vitello a blocco». Per «blocco» si intende il vitello per intero o una grossa porzione, magari una metà. «Prima del lockdown il vitello veniva pesato e venduto a una cifra al chilo. Io sono allevatore, veniva da me un commerciante di carni all’ingrosso. Insieme si contrattava il prezzo, supponiamo da 2 a 3 euro al chilo. Oggi si paga a blocco, ossia l’intero vitello è il blocco e viene venduto da un minimo di 300 euro a un massimo di 500 euro». Si contratta su tutto, ormai. «Quando si vende un bovino, si intende che l’iva è inclusa nel prezzo. Un vitello lo vendevo a 1,90 euro al chilo o al massimo 2,10 euro al chilo se quel giorno capitava da me il santo protettore. Da quel prezzo potevo defalcare l’iva. Oggi non si può fare più».

Il terzo allevatore è della zona di Gioia. «Giunge nella mia azienda un commerciante che vuole acquistare i miei vitelli per macellare. Mi fanno un prezzo, supponiamo mille euro. Gli rispondo che voglio pensarci su, riflettere, perché voglio ascoltare voci diverse e vendere al migliore offerente. Il commerciante che è venuto da me, appena mette piede fuori dal recinto della mia azienda chiama i suoi colleghi e gli confida quale cifra ho richiesto. Dopo un po’ di tempo, arrivano i suoi colleghi che mi piazzano il vitello a 900 euro». Si dirà: giocano a perdere per avvantaggiare il primo commerciante? Secondo questo allevatore la questione è diversa. «A quel punto, sono costretto a vendere al primo commerciante che poi li rivende a quel prezzo ai suoi colleghi. È un “cartello”. Molti grossisti impongono ai macellai di non acquistare vitelli da noi ma dai grossisti direttamente in modo tale che noi non abbiamo alternative, o il commerciante o niente».

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