Era il 1830 quando uno straordinario Eugène Delacroix realizzò la sua opera più celebre: La Libertà che guida il popolo, manifesto di un nuovo tempo, ritratto collettivo in cui ogni classe sociale, con orgoglio e consapevolezza, andava incontro verso un futuro ormai prossimo.
Di tempo ne è passato tanto, ed evidentemente qualcosa è cambiato se oggi si ha la sensazione che la parola risulti di nuovo imbrigliata.
È imbrigliata quando parlare di pace è avvertito come politicamente scorretto, è imbrigliata quando occorre cercare una parola altra a genocidio, temendo di offendere qualcuno, e risulta di nuovo imbrigliata quando manifestare in piazza per esercitare il proprio diritto al dissenso, sancito dalla Costituzione, è avvertito come sconveniente ed inopportuno.
Meglio restare ognuno al proprio posto, imparare a scegliere le parole con cura nell’intento di non scontentare nessuno, lo impareremo sui banchi di scuola, perché a scuola non si fa politica.
Non è necessario parlare di cronaca neanche in una settimana come questa: a due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, ad uno dal tragico naufragio a Cutro e a pochi giorni dalle manganellate dei poliziotti durante la manifestazione dei giovanissimi studenti a Pisa di fronte ad una scuola.
Meglio lasciare che di queste cose se ne occupino altri, noi a scuola possiamo restare seduti in cattedra e continuare le nostre rassicuranti lezioni.
A fine anno qualche confortante cenno sul senso di solidarietà, sul valore della partecipazione e soprattutto della democrazia, o di ciò che ne rimane, da inserire nelle relazioni di Educazione Civica, e avremo fatto come sempre il nostro lavoro. Poche mosse e il gioco è fatto.
Ma non è un gioco.
E la paura dei pochi ragazzi che ancora dimostrano di avere a cuore le sorti del mondo, visto quanto accaduto, il disinteresse di molti e l’obbedienza di altri, farà il resto.
Questi giorni ho avvertito con enorme disagio l’accusa di una studentessa circa l’incapacità di trattare in classe queste tematiche o peggio ancora la volontà da parte nostra di ometterle.
Parliamo di tutto ma non di politica, che non ci compete, lasciamo che ad occuparsene sia il mondo fuori dal perimetro della scuola.
Non prendiamoci questa responsabilità gravosa specie in questo strano tempo.
Eppure l’arte è un atto politico, lo è sin dai tempi dei romani.
La scelta delle opere da esaminare, l’elenco dei libri consigliati da leggere durante le vacanze, i brani di letteratura, la poesia è politica.
Poi tutti potremo, come sempre, continuare a dibattere del disinteresse di questa generazione al loro tempo.
Discutere della loro disillusione, delle teste poggiate sui banchi senza alcun interesse durante le lezioni, degli sguardi assenti persi chissà dove, della mancanza di desiderio o del poco impegno.
Apatici senza alcuna visione per il futuro.
E quello che è rimasto, lasciamo che si spenga poco alla volta che è più corretto.
Anche questa volta noi adulti non abbiamo alcuna colpa, né nulla di cui vergognarci. In fondo sono solo figli di questo nostro tempo.