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Quell'adolescenza da tempo in bilico

 
Mirella Carella

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Mirella Carella

Quell'adolescenza da tempo in bilico

Basterebbe ricordare che la complessità è parte della vita e che le certezze, quando arrivano, arrivano tardi

Venerdì 24 Marzo 2023, 10:10

«È normale che sia così ondivago. L’adolescenza è come il tempo di marzo».
Lo scrive Domenico Starnone nel suo ultimo libro, ed io prendo in prestito le sue parole, per parlare del tempo del bilico alla quale assistiamo noi adulti quando osserviamo i nostri figli o i nostri studenti adolescenti.

Ed è davvero un tempo dell’incertezza, dell’indefinito che piano piano prende forma, non senza fatica, per qualcuno persino con dolore, per il non sentirsi adeguato o per la percezione di non essere nato nel corpo giusto. Perché il tempo della trasformazione non è immune dal senso di smarrimento e di confusione che si manifesta tra euforia e rabbia.
È il loro modo per dirci che stanno vivendo il tempo dell’attesa, che vivono nell’attesa di essere, ma questo per alcuni vuol dire sentirsi sospesi tra le centinaia di gradazioni intermedie tra il bianco e il nero.

È necessario coniare un nuovo lessico per raccontare questo stato dell’essere? Sì. Perché per essere bisogna avere un nome, avere un’appartenenza. È necessario per non sentirsi «apolidi» nelle proprie famiglie, nelle proprie aule di scuola e soprattutto nelle proprie vite. Ed è la ragione per cui alcuni ragazzi hanno scelto di definirsi gender fluid, come sospesi in una terra di mezzo.
Per comprenderne il senso, basterebbe ricordare che la complessità è parte della vita e che le certezze, quando arrivano, arrivano tardi e con il tempo. Noi adulti, abituati per cultura, per religione, alla rassicurante divisione tra questo e quello, abbiamo dimenticato, omesso, ciò che sembra non farne parte, permettendo che si costruissero barriere invalicabili e per qualcuno invalidanti, in cui rinnegare il senso stesso del divenire.

Umberto Galimberti, noto filosofo e psicoanalista, durante un’intervista di qualche settimana fa in un programma televisivo, sottolineava quanto la rigorosa divisione tra maschi e femmine, alla quale tutti noi siamo stati incanalati, fosse più una esigenza necessaria alla società che all’individuo. Ne sono convinta.
Certo, è una semplificazione che ci è apparsa necessaria abituati come siamo a dividerci per fazioni, per ogni cosa, come fossimo sempre giocatori o spettatori ad una partita. Forse, dovremmo solo preoccuparci di essere per gli adolescenti faro e porto. Siamo ancora in grado di farlo?

Dal 2019 in tutte le scuole italiane, di ogni ordine e grado, è tornato ad essere obbligatorio l’insegnamento trasversale dell’Educazione Civica, intesa non soltanto come introduzione ai principi della Costituzione, ma anche come momento di riflessione sulle tematiche che riguardano più da vicino i nostri studenti: bullismo, cyberbullismo e body shaming: delittuosa pratica di umiliare l’altro per la propria fisicità. L’esercizio è ormai rodato, ed è tutto teso a promulgare sentimenti di empatia e di accoglienza, ciò nonostante, a quanto pare, esistono tematiche che ancora facciamo fatica ad affrontare in classe, per timore di non saper usare le parole giuste - certo - o in virtù di una cultura sessuofobica, per le ragioni che ognuno di noi sarà capace di comprendere, che ci ha costretto ad immaginare la trattazione dell’identità di genere, come terreno scivoloso.
Basterebbe la naturalezza. Ciò che davvero a scuola servirebbe è l’insegnamento dell’Educazione Sentimentale, per superare i pregiudizi di genere e provare a sradicare gli stereotipi obsoleti dalla quale nessuno appare ancora esente.

La generazione che abita il nostro tempo è una generazione libera e coraggiosa, come lo sono le ragazze iraniane che ondeggiano al suono della musica, capelli sciolti al vento, nonostante i veti di un regime retrogrado e maschilista e come lo sono i ragazzi provenienti dalle periferie ai margini delle grandi città o che vivono nei piccoli centri, che spesso senza alcun supporto, con coraggio e determinazione, sono capaci di sfidare gli sguardi giudicanti della gente.
Converrebbe ascoltare ciò che ci stanno gridando, cantando, urlando forte: Noi siamo la generazione che ha smesso di fare finta e che ha deciso di non abdicare ad alcun compromesso!
«Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene e saranno buoni tempi. Noi siamo i tempi». Lo scriveva Sant’Agostino molti anni fa.

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Mirella Carella

Diario di Classe

Biografia:

Nasce la collaborazione con la «Gazzetta» di Mirella Carella, che curerà la rubrica «Diario di classe», piccole e grandi storie quotidiane che nascono tra i banchi e nei cuori dei giovani. Mirella Carella, barese, ha lavorato nel mondo dell’arte partecipando a mostre in Italia e all’estero, alcune sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Dal 2015 è docente di ruolo in Disegno e Storia dell’Arte.

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