Roma, sei novembre 1957, una folla di migliaia di persone è radunata nella città che sta mettendo definitivamente alle spalle il decennio passato, la guerra, il disastro, guardando al mondo nuovo.
«Tutto pare come sospeso, rimandato: anche io mi ritrovo solo con gli occhi, e come senza cuore, in pura attesa. Ma intanto attraverso gli occhi, il cuore si riempie. Non ho mai visto gente così, a Roma. Mi sembra di essere in un’altra città». Le parole sono di Pier Paolo Pasolini e il racconto è quello dei funerali di Giuseppe Di Vittorio, considerato il primo lutto collettivo della sinistra italiana, sette anni prima della scomparsa di Palmiro Togliatti, e più tardi ancora, negli anni Ottanta, di Enrico Berlinguer.
Segretario della Cgil eletto nel giugno 1944, Di Vittorio morì a Lecco, colpito da un infarto pochi momenti dopo aver incontrato un gruppo di delegati sindacali. Il viaggio della bara verso Roma, come raccontano le cronache del tempo, veniva interrotto a ogni stazione da una massa di lavoratori che fermavano il passaggio del treno qualche minuto, per salutare a pugno chiuso «il compagno Peppino».
Figlio di braccianti, nato a Cerignola l’11 agosto 1892, Di Vittorio fu sempre dalla parte delle classi popolari da cui egli stesso proveniva, organizzando la lotta, la resistenza al fascismo, la politica del Paese di volta in volta da militante, da dirigente, da instancabile organizzatore sindacale, da deputato dell’Assemblea costituente e del Parlamento. Se la sinistra italiana ha avuto degli eroi, Di Vittorio è legittimamente nel Pantheon ristretto dei più grandi. Da capo della Camera del Lavoro di Minervino Murge fino alla presidenza della Federazione sindacale mondiale, passando per il carcere (e si trovava in carcere, nel 1921, quando venne eletto deputato per la prima volta) e la guerra; combatté a fianco degli antifascisti spagnoli contro i militari guidati dal generale Francisco Franco, venendo ferito a Guadalajara, e diresse un giornale antifascista a Parigi. Fu uno dei primi leader a denunciare la politica antisemita del regime di Mussolini e fu l’unico dirigente comunista a condannare l’entrata dei blindati sovietici a Budapest, facendo dire a Togliatti che «Di Vittorio ha sostituito al partito il proprio giudizio sentimentale e sommario».
Tra tutti questi incarichi, uno meno noto riguarda l’elezione di Di Vittorio a consigliere comunale di Roma, negli anni Cinquanta, ottenendo 70mila preferenze. Ricordò la moglie Anita Contini come Di Vittorio fosse particolarmente soddisfatto del fatto che «una gran massa di voti di preferenza gli venissero non solo dai quartieri popolari di Roma, ma anche da quelli dove vive il ceto medio romano, i commercianti, i dipendenti pubblici, gli statali»; e di certo colpisce come questo fenomeno sia di fatto invertito negli ultimi anni, con i leader della sinistra che stentano a conquistare il consenso delle periferie e dei ceti popolari. Da consigliere, Di Vittorio rinunciò al gettone che gli spettava, spiegando: «In altre occasioni affermammo che il compenso per coloro che sono investiti da pubbliche funzioni è non soltanto legittimo, ma è condizione perché tutti vi possano accedere e va pertanto riguardato come fatto schiettamente democratico [...] ma poiché per la nostra qualità di parlamentari noi godiamo già di altra indennità, riteniamo doveroso non aggiungere a quella una seconda, anche in considerazione delle non floride condizioni del bilancio comunale».
Inutile fare troppi confronti. Quando Di Vittorio morì, il futuro segretario della Democrazia cristiana Benigno Zaccagnini disse: «Sono convinto che è in Paradiso».

Segretario della Cgil eletto nel giugno 1944, Di Vittorio morì a Lecco, colpito da un infarto pochi momenti dopo aver incontrato un gruppo di delegati sindacali
Mercoledì 07 Settembre 2022, 11:02
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La Puglia è uno stato d'animo. La si ritrova ovunque anche nella Capitale: ed ecco che tra ulivi sempiterni e luoghi del cuore si possono scovare angoli pugliesi anche a Roma.
Liborio Conca
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