Sabato 06 Settembre 2025 | 11:24

Che nessun dorma sul Teatro Stabile

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Che nessun dorma sul Teatro Stabile

Ricordo che il capoluogo di regione ancora ne è vergognosamente privo e che è ora di pensarci

Domenica 17 Marzo 2024, 15:42

16:23

Annuncio: «Signori, mezz’ora!». E non prendetelo per un «Chi è di scena!». In molti hanno affollato le quinte per recitare da par loro. Gli è che mi incaponisco nell’avvertire i concittadini che nessun dorma: sul Teatro Stabile, detto oggi Teatro Nazionale resistono la speranza, il progetto, la volontà. E ricordo che Bari ancora ne è vergognosamente priva e che è ora di pensarci. Mettano lor signori in agenda politica ed elettorale questa inderogabile necessità. Alcuni addetti ai lavori hanno pensato bene di far la loro parte. Gli addetti ai favori hanno discettato, tentennato, dubitato, o messo le mani avanti, mani rapaci, per non farne niente.

In attesa che il nuovo signor Sindaco, prima di tutto, e non altri, pronti a sgomitare in ribalta, avvii la discussione, mi permetto di ricordare alla compagnia tutta il prontuario degli attori. Avvedutezze, procedure, scaramanzie, doveri, prima di tutto, doveri, che prelevo dal regolamento di palcoscenico e dal bel libro di Tofano, «Il teatro all’antica italiana», oltre che dalle mie personali esperienze. Sognando che il sipario stia per aprirsi, simuliamo che sia la sera del debutto. Il tempo in teatro è una convenzione: 35 minuti prima della prevista alzata del sipario il direttore di scena, annuncerà, liturgico e compassato «Signori, mezz’ora» e, poi, 20 minuti prima dirà, più premuroso, «Signori, manca un quarto d’ora allo spettacolo» e, infine, 10 minuti prima, annuncerà, più imperioso, «Signori, cinque minuti».

Gli artisti dovranno, ogni volta, rispondere ringraziando e non solo per cortesia, ma, anche, per non poter, poi, dire di non aver sentito, nel caso, Dio non voglia, di «bucare» la scena, ossia mancare l’entrata o, peggio, anticiparla.. Ed ecco: cinque minuti prima, il fatidico «Chi è di scena». Né prima né dopo. Le signore attrici daranno, uscendo dal camerino, un’ultima ravviatina al tirabaci o alla parrucca o una strattonata al peplo o al mantello e ondeggeranno compite verso la quinta. Alcune accarezzeranno un chiodo storto o altro amuleto. Sulla varietà di questi ultimi non mancano aneddoti, anche maliziosi. Lasciando il camerino i signori attori, dovranno tenere a mente gli ammonimenti dei maestri.

Come diceva il vecchio Cimara (conoscono lor signori?), due sono i pensieri tassativi prima di varcare il confine mistico della scena e arrivare a cospetto del pubblico. «Occhio alla patta!» e «Fuori la biancheria». Si deve dare una strusciatina alle braghe percorrendo con due dita furtive, ma ratte, la sfilata dei bottoni per controllarne la chiusura e, con uno slancio sincrono delle braccia, protendere gli avambracci per mettere in vista i lindi polsini, meglio se preziosamente «ingemellati»: la biancheria. Il garbo dell’andatura e il portamento impeccabile dei signori della scena d’un tempo facevano si che, spesso, entrassero prima i polsini e poi il personaggio.

Altro che sacro fuoco o impegno politico o immersione psicologica nel personaggio, altro che immolarsi nella immedesimazione stanislavskiana. Controllare di non avere la patta aperta e mettere in mostra il candore dei polsini per cui s’era tanto speso della risicata paga della tournèe, questo si doveva fare. Se uno il mestiere e il talento ce l’aveva, recitava. Altrimenti il sacro fuoco non serviva ad un fico secco. Quanto al rigore esoso dell’impegno politico, si sentiva anche se facevi il vaudeville, non c’era bisogno di sminuzzare proclami e infliggere comizi per consenzienti. Gli attori dell’«Antica Italiana», quella maniera di praticare l’arte del teatro che nessuno riuscirà a sostituire del tutto avevano, si, passione, estro e volontà, ma erano sostenuti dalla professionalità e dal talento messi alla dura prova della ribalta e del botteghino, luoghi fatidici dell’arte scenica. Questo è il teatro, pena il patetico volontariato dei velleitari, senz’arte e, giustamente, senza parte che annaspano di sussidi e sperimentazioni vita natural durante. Questo è e deve essere il teatro, semplicemente: testo e poesia, parola scenica e vicenda umana, arte dell’attore e del regista, palcoscenico vivo e vitale.

Sei tu, l’attore, tu, l’autore con le tue parole, il regista con lo spazio della scena, lo scenografo, il costumista, il pubblico. E quando senti dire: «Chi è di scena!» che non è una domanda, ma il più sublime invito che la vera gente di teatro possa mai sentire, vai e fai vedere, e sentire, naturalmente, chi sei. La ricerca, la sperimentazione ardita, la polisemia dei media confusionari ed eterogenei, i pasticci dei parvenu, ma, anche, le contaminazioni anche se ottime, cerchino altrove, non in teatro, gli adatti luoghi rituali, le palestre dei loro esercizi. C’è posto per tutti. Allora, signor Sindaco, dia pure «la mezz’ora». Chi può, e sa, ricordi: «Occhio alla patta e fuori la biancheria!».

Gli altri, gli improvvisati, i «dilettantisi», come li chiamava Silvio D’Amico, grande storico del teatro, non spingano, c’è posto in platea.

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Michele Mirabella

Lessico Meridionale

Biografia:

Sono stato invitato a scrivere sulle pagine della Gazzetta dal direttore che mi propone di scegliere, ogni domenica, una parola su cui meditare liberamente e scegliere la via dell’etimologia o quella della stimolante riflessione sugli usi del lemma. Nasce così Lessico Meridionale.

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