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Una perdita difficile da accettare
Federica Marangio
12 Settembre 2020
“Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”. La citazione mutuata da Paolo Borsellino è un testamento di grande umanità che solo gli uomini benevoli, magnanimi e puri di cuore possono scrivere, coloro i quali si preoccupano più del vuoto che lasceranno negli altri che di ciò che accadrà a loro. Antonio Di Gregorio nella sua breve vita, 1963 – 2020, ha seminato mitezza e dolcezza. La professione di medico è un’ulteriore manifestazione di amore per il prossimo che Antonio dispensava a mani larghe. Nella sua tesi di laurea in medicina generale si era soffermato sul rapporto tra medico e paziente, argomento che dà la cifra della persona che era. Consapevole della sua situazione nel momento in cui non stava bene, aveva a cuore di ristabilirsi per tornare a prendersi cura dei suoi pazienti. “Devo curare gli altri” ripeteva. E le sue premure spaziavano dalla madre Saveria verso la quale non mancava di elargire consigli per una corretta alimentazione agli amici che non se ne fanno una ragione. Sui social non si contano i messaggi a lui rivolti, in cui viene descritto come “un’anima rara, umile, dolce”. “Chi ha avuto la fortuna di conoscerti non dimenticherà mai i tuoi modi garbati”, si legge ancora. I suoi affetti più stretti, la madre Saveria, il fratello Francesco, la cognata Sabrina, i suoi nipoti e tantissimi amici e colleghi piangono un uomo d’altri tempi per la sua spiccata sensibilità, per la sua vita intesa come elogio della lentezza, dove lentezza è pregio di pochi. È non affaccendarsi in una voragine di azioni, ma affrontare tutto un passo dopo l’altro con lucidità e raziocinio. L’unica virtù della morte è di operare una selezione naturale: viene ricordato solo chi lo merita. Antonio è tra queste anime belle.
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