Siamo passati da una gestione delle risorse umane formale, fredda e distaccata, prescrittiva e legata alle regole, ad una gestione empatica, emozionale, coinvolgente pur nel rispetto dei compiti e dei ruoli previsti dal contratto.
I manager che si sono cimentati nella costruzione di rapporti professionali integrando la dimensione umana del contratto psicologico informale a quella prescrittiva formale, stanno già sperimentando la difficoltà a riconoscere e gestire i confini. Qual è il limite del coinvolgimento umano nelle relazioni professionali? E come fare a riconoscerlo e gestirlo, prima che le emozioni esondino ed influenzino la corretta gestione del ruolo?
È facile che sentimenti, affettività e rapporto umano legato alla dimensione dell’essere persona, valichino il confine professionale e facciano perdere di vista il punto di vista dell’organizzazione e la necessità di portare il team e i suoi membri a raggiungere gli obiettivi.
La personalità è sopra i ruoli e mentre siamo al lavoro abbiamo sempre la capacità di percepirci come persone laddove la nostra parte umana è l’albero e i ruoli interpretati e agiti sono i rami dell’albero. Ogni ramo è nutrito dall’albero e la sua funzione si esprime anche in considerazione dell’insieme di cui è parte. Il ruolo e la funzione esprimono in ogni momento l’identità e la personalità del manager, che si può sentire libero di entrare in contatto con il proprio sé, con la propria personalità, anche lasciandosi tempo e spazio per sentire e provare emozioni e sentimenti relative all’andamento della situazione lavorativa e alle relazioni con i collaboratori. Tuttavia, nell’espressione del proprio ruolo anche in considerazione degli obiettivi, potrà utilizzare i suoi sentimenti e le sue emozioni, canalizzandole verso lo scopo. Non si tratta infatti di negarle o di allontanarle per la paura di non riuscire a gestirle o di esserne travolti nell’invischiamento tra formale e informale, tra professionale e personale, ma di integrarle. Le due dimensioni umana e professionale possono essere co-presenti con naturalezza, trovando un equilibrio armonioso tra di esse ed esprimendolo con l’autorevolezza della personalità che agisce attraverso il ruolo.
Si può ridere e scherzare durante una condivisione di aneddoti personali e poi offrire un feedback al collaboratore sul compito, senza che questo possa inficiare l’efficacia della correzione. Si può accogliere una confidenza personale e sentirsi sereni nel negare un permesso se non è funzionale agli obiettivi aziendali e le due cose non solo non saranno in contrasto ma saranno favorite dal clima positivo che la relazione tra le persone ha contribuito a costruire, seppure nel riconoscimento del quadro complessivo del contesto in cui si opera. Questo stile autentico genera compliance, e i dipendenti diventano “partner in crime”, focalizzati non più solo sul compito ma sull’obiettivo strategico aziendale, compiendo scelte lungimiranti e lavorando nella direzione complessiva a cui tende tutta l’organizzazione. Più responsabili, più proattivi, più fidelizzati.
D'altronde, c’è un dato ineludibile che è la sostenibilità economica dell’organizzazione a cui tutti, inclusi proprietà e management, devono fare riferimento, per garantire la sopravvivenza e la crescita dell’azienda. Pertanto, si tratta di rendere il viaggio piacevole, pur restando in modo efficiente ai propri posti, pronti a portare la barca all’andatura necessaria per solcare nuovi mari e puntare a nuovi orizzonti.