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L’imperfezione che piace

 
Emanuela Megli

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Emanuela Megli

L’imperfezione che piace

Perché l’imperfezione piace? Perché la perfezione non esiste e perché è più facile empatizzare con il fallimento che con il successo.

Sabato 11 Febbraio 2023, 18:40

Al Festival di Sanremo, è l’imperfezione che incanta il pubblico. Blanco prende a calci i fiori, preso dalla incapacità di gestire le sue emozioni, Arisa commenta che hanno fatto un casino, al termine della canzone con Gianluca Grignani, Eros Ramazzotti non ricorda le parole, aiutato da un pronto alleato, Ultimo, in perfetta armonia intergenerazionale. 

Quest’anno superiamo i commenti sul paradosso tra tradizione e innovazione, freschezza o esperienza e guardiamo alle dinamiche sociali e comportamentali dei concorrenti, con i riflessi sul pubblico.

Dopo anni in cui sui social media e giornali si rincorreva la perfezione di modelli stereotipati, impacchettati, competitivi in cui valeva il principio della vetrina, per dimostrare il proprio valore, la propria bellezza, cavalcando un’idea assurda di prestazione ad ogni costo e in ogni sfera della vita, oggi a Sanremo - temporaneo palco della società attuale, attraverso il quale è possibile vedere le reazioni della gente comune- possiamo affermare che l’era narcisistica del bello e perfetto è finalmente finita. Meglio imperfetto e autentico che perfetto e finto. Anzi alla gente piace l’imperfezione. Perché la perfezione non esiste e perché è più facile empatizzare con il fallimento che con il successo. Perché il successo degli altri genera confronti e giudizi su di sé (su un’idea spesso idealizzata di sé). A meno che non si comprenda che chi ce la fa si è aperto e ha accolto numerosi fallimenti da cui ha imparato ed è questa la radice del suo successo.

Di questo avevamo già conferma noi esperti formatori di public speaking, l’80% di ciò che piace al pubblico è emozionarsi e questo avviene solo se siamo autentici e se nella spontaneità sappiamo accogliere e sfruttare l’errore con semplicità, come piccola finestra su di noi, per lasciar intravedere chi c’è oltre la maschera, il ruolo, il personaggio che stiamo a nostra insaputa interpretando come diceva William Shakespeare (As you like it, 1599-1600 -atto II, scena VII): “Tutto il mondo è un palcoscenico”. 

E su questo palcoscenico ognuno di noi, si gioca spesso la propria felicità e il proprio benessere. Questo principio di spontaneità, ci alleggerisce la vita e ci sta dicendo che possiamo lasciarci andare un po’ (la leggerezza non è superficialità) ed essere sereni di ciò che siamo e apprezzarci come siamo, perché nello sforzo di migliorarci, ciò che conta è riuscire ad aderire alla nostra più profonda essenza; lì dove nel profondo del nostro essere, possiamo sentirci al sicuro, in confidenza con noi stessi, nel nucleo della nostra più profonda identità, in cui anche con alcune discontinuità e piccole incoerenze dovute ai condizionamenti (…), possiamo essere certi di manifestare noi stessi. Perché la verità (la fedeltà a noi stessi) ci rende felici e la finzione (l’adesione a modelli stereotipati richiesti) ci rende tristi. E questo è un principio “guida” nella nostra esistenza.  

Perché l’imperfezione piace?

Perché la perfezione non esiste e perché è più facile empatizzare con il fallimento che con il successo. Perché il successo degli altri genera confronti e giudizi su di sé. Porta a misurarsi con chi ce l’ha fatta dimostrando che se per qualcuno è possibile, è possibile anche per noi. E quindi “not excuses” (non ci sono scuse) al nostro insuccesso e alla nostra mediocrità (per chi non ci prova nemmeno). Per questo il successo genera invidia e gelosia, fa emergere la propria inferiorità percepita, che fa male, mette in crisi chi la prova. Da qui il bisogno di difendersi negando il successo o attaccandolo, denigrando chi lo raggiunge. 

A meno che non si ricordi che chi riesce e chi raggiunge le proprie mete, non nasce vincente, se le conquista con fatica, impegno e sacrifici. E soprattutto con i fallimenti, si continui e costanti insuccessi, errori, da cui impara e si fortifica nel percorso di crescita e di miglioramento, che spesso è un togliere e non un aggiungere, è un perdere e non un prendere, è un dare e non un avere. È un modo d'essere e non un fare. Uno stare e non cambiare. Un tacere e non un dire, uno svuotare e non riempire, un fermarsi e non un accelerare, un saper perdere e non un sapere vincere. 

Un orientamento apparentemente “negativo” che, accolto e superato, diventa spesso positivo, affermando il suo contrario. 

Un’alchimia, una magia che avviene se superiamo con umiltà l’idea di noi (idealizzata e di perfezione) che ci siamo costruiti e che spesso vogliamo difendere a tutti i costi e che ci mette in contatto, invece, con il nostro essere più autentico, in cui gli opposti si uniscono e si mescolano armoniosamente, compensandosi e ridonando equilibrio: paura e coraggio, errore e correzione, imperfezione e perfezione, fallimento e successo. 

Da qui è possibile ripartire con nuova motivazione nella vita e chiedersi: perché è importante per me questo progetto? 

E lasciare che siano i nostri scopi di vita (i nostri valori) a motivare il nostro impegno verso il raggiungimento dei nostri obiettivi!

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Emanuela Megli

AGIL@MENTE

Biografia:

Un blog per saperne di più sul “SAPER VIVERE” di ogni giorno e sul decidere come comportarci, facendo chiarezza sulle parole e sui fatti, potendo avere un punto di vista utile per avere sempre più un’opinione personale su lavoro, scuola e famiglia. Ecco una serie di strumenti per poter comprendere gli eventi della vita e saperli gestire al meglio. Tutto questo è Agil@mente. A cura di Emanuela Megli, donna e due volte mamma, imprenditrice, Formatrice Coach di Soft Skills e scrittrice.

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