METAPONTO - Omar mastica senza tregua il gambo di un tubero. La fame morde, rosicchiare aiuta a dimenticarla. «Li ho tutti i documenti. Ho avuto anche un contratto di lavoro. Il problema non è fare la giornata di lavoro, quella ti capita. Ma nessuno ci vuole affittare una casa.
Né al Borgo né al Lido»: Omar, senegalese, nasconde i 54 anni in un fisico che è un fascio di nervi sotto un alveare di capelli. «Non siamo romeni e nemmeno albanesi. E quindi per noi non c’è posto», dice appoggiato a un pezzo di parete sventrata, asciugandosi col palmo esterno della mano destra il poco di saliva che tracima dalla poltiglia masticata.
un fascio di nervi Omar è accovacciato appena dopo l’ingresso del campo sportivo, sovrastato dalla scritta Stadio Massimino.
La struttura costruita con i fondi Mundial di «Italia ’90» ha funzionato per un po’ anche grazie a Massimino, uno degli scapoli e ammogliati che in cambio della partitella di pallone garantivano una minima manutenzione. Poi, il precipizio. Che però è rifugio vitale, non solo per Omar. Racconta: «L’annata è andata male.
Il caldo ha bruciato le verdure e neanche le arance sono andate bene. Non c’è tanto lavoro». Lui è qui dal 2019, da quando ha lasciato la «Felandina». Era con gli altri cinquecento braccianti sgomberati dopo il rogo del 7 agosto di quell’anno, costato la vita a Eris Petty Stone, nigeriana di 28 anni...