A seguito del processo di primo e secondo grado, sopraggiunta l’irrevocabilità delle sentenze, questa mattina i Carabinieri del Comando Provinciale di Bari, a quattro anni dagli arresti, hanno dato esecuzione a 40 provvedimenti di carcerazione nei confronti di altrettanti condannati che hanno scelto il rito abbreviato. Siamo nell'ambito dell'indagine Pilastro, avviata nel marzo 2011 in seguito all'omicidio di Giuseppe Mizzi, l'uomo ucciso per errore a Carbonara.
L’operazione, ha colpito 9 soggetti in libertà (di cui 3 con ordine di sospensione), 14 sottoposti agli arresti domiciliari e 17 già reclusi: ha avuto luogo su tutta Provincia di Bari e in diversi Istituti penitenziari di Melfi (PZ), Foggia, Taranto, Lecce, Catanzaro, Teramo, Saluzzo (CN), Sassari, Milano e Tolmezzo (UD).
L’indagine “Pilastro” ha permesso di dimostrare in primis la colpevolezza di Antonio Battista (condannato a 20 anni di reclusione) in qualità di mandante del delitto, e di Emanuele Fiorentino ed Edoardo Bove (condannati rispettivamente a 20 e 13 anni di reclusione) in qualità di esecutori materiali. Le investigazioni hanno fatto emergere che Battista, all’epoca reggente operativo del clan Di Cosola, dopo aver subìto un attentato a mano armata nel corso del quale rimase ferito, ordinò una plateale vendetta, in cui per uno scambio di persona è stato ucciso Mizzi, estraneo ad ambienti criminali.
Un'imponente maglia di intercettazioni ha consentito nel corso dell’intera indagine di svelare la riorganizzazione e l’espansione del clan Di Cosola nel periodo tra il 2011 ed il 2015, con la leadership di Cosimo Di Cosola (fratello di Antonio). Il clan sotto la sua guida si dedicava a estorsioni, traffico di stupefacenti in piazze di spaccio in vari quartieri del Comune di Bari, e a Valenzano, Capurso, Casamassima, Adelfia e Bitritto.
Anche il settore dell’edilizia non è sfuggito alle mire criminali del clan: nel corso delle indagini è infatti emersa una fitta rete di estorsioni ai danni di numerosi imprenditori locali, costretti a versare nelle casse del clan ingentissime somme di denaro in cambio di protezione. In alcuni casi gli imprenditori, per non subire ritorsioni, dovevano acquistare il cemento prodotto dall’impresa di Vito Nicola Procida, contiguo al clan e condannato in primo grado a 10 anni di reclusione.
Nel corso delle investigazioni sono state eseguite diverse operazioni di riscontro che hanno contenuto la pericolosità del clan fino all’esecuzione delle 64 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dalla D.D.A. di Bari, avvenuta all’alba del 21 aprile del 2015, che ha consentito il totale smembramento e il sequestro di numerosi immobili e della cava di produzione del calcestruzzo.