Che Luciano Pignataro sia Ambasciatore della Dieta Mediterranea non meraviglia. Lui, che macina chilometri e siede a tavole apparecchiate da un quarantennio, l’enogastronomia italiana la conosce a fondo. Nel 2004 la spiccata vocazione per i nuovi media l’ha portato a fondare uno dei siti più cliccati e autorevoli del settore, il “Luciano Pignataro wine&food blog”, dove supportato da una valida redazione scopre e racconta il buono che c’è nel nostro Paese. Di origini cilentane, Pignataro si dedica dagli anni Novanta ai sapori di Napoli e d’Italia nelle numerose collaborazioni fra rubriche di settore e guide specializzate: da «Il Mattino», dove firma l’iconica rubrica «Mangia&Bevi», alla «Guida ristoranti dell’Espresso», senza dimenticare le tante pubblicazioni editoriali. Grazie alla sua incessante attività, nel 2008 si è aggiudicato il premio «Luigi Veronelli» come miglior giornalista italiano.
Il gastronomo di Salerno ha vissuto sul campo il fenomeno della rinascita della pizza, contribuendo a disegnare negli anni la mappa delle migliori d’Italia e del mondo: sono i suoi i celebri concorsi «50 Top Pizza» e «50 Top Pizza World» ed anche autore de «La Città della Pizza». Un patrimonio inestimabile di sapere ed esperienze messo a disposizione di un pubblico fidelizzato, con una presenza capillare e costante. Facile immaginare perché la casa editrice Mondadori abbia pensato a Luciano Pignataro quando nel 2016 saltò fuori una notizia particolare che fece in poco tempo il giro del mondo: «Ad Acciaroli c’era il più alto numero di centenari, giustificato da uno stile di vita che favoriva la longevità. I media, soprattutto anglosassoni perché abbastanza ossessionati da questo argomento, impazzirono. Chiesero a me di affrontare la questione, con il supporto medico del professor Giancarlo Vecchio, oncologo di fama internazionale».
Nasce così il libro Il metodo Cilento, in cui si elencano i cinque segreti dei centenari. Nel primo capitolo, il «Cuoncio cuoncio», si chiarisce come in alcuni luoghi si vive meglio e più a lungo, «dove il rapporto tra le donne, gli uomini e la felicità supera di parecchio le medie rilevate altrove, in città lontane e vicine apparentemente più ricche». Ci sono indizi certamente alimentari, come la famosa Dieta Mediterranea, scoperta da un’equipe di medici americani una sessantina di anni fa, ma ci sono anche indizi sociali, storici, antropologici. Si parte dal Cilento, dove la Dieta avrebbe avuto origine, ma si apre lo sguardo al Mezzogiorno, «perché in fondo potrebbe chiamarsi “metodo Calabria”, “metodo Lucania”, “metodo Molise” o “metodo Puglia”, parliamo necessità di fare le cose per bene».
Pignataro e Vecchio offrono un vademecum da applicare alla vita quotidiana, con consigli utili sull’alimentazione e lo stile di vita. Dall’alimentazione al movimento, dal riposo al sentirsi parte di una comunità, alla spiritualità. L’elisir di lunga vita «è un insieme di comportamenti non impegnativi, suggerimenti pratici per disconnetterci da un’esistenza frenetica, dai social network, dalle ansie che affannano le nostre giornate, per riscoprire il valore della lentezza e dello “slow life” tanto caro al Sud», spiega l’autore. «La passeggiata quotidiana che nei piccoli paesi resta l’unico motivo di socializzazione diventa ad esempio fondamentale, così come la sensazione di essere parte di una comunità, perché l’uomo è un animale sociale». Importanti anche le ragioni religiose, «dove per religiosità non s’intende solo il credo, ma più in generale il godimento dell’arte, della natura e della vita». A pesare sul piatto della bilancia della longevità, sicuramente l’alimentazione: «Il principio essenziale della Dieta Mediterranea è che nulla è proibito e tutto è ammesso nella giusta misura -; puntualizza il giornalista - è stato dimostrato che almeno un terzo dei problemi cardiovascolari e tumorali nascono da cattive abitudini alimentari». A partire dalla spesa, «quella settimanale spesso accumula cibo già preparato o che non viene consumato». Fra le regole d’oro, invece, c’è quella di assimilare alimenti freschi e di stagione, «che favoriscono la buona salute e fanno pure risparmiare», assicura Pignataro. «Ciascuno di noi dovrebbe mangiare le cose che vengono prodotte in prossimità. Questo non vuol dire essere prigionieri del chilometro zero; ma preferire i fagioli locali a quelli argentini, anche se quest’ultimi costano meno, significa capire perché quel prezzo è inferiore anche se il prodotto viene da più lontano. In Italia i controlli sono ben regolamentati e questo ha un costo».
Cosa succede invece lontano dalle cucine di casa? Trionfa fra i consumatori il modello trattoria che celebra le cucine regionali. «Sul fine dining bisogna stare attenti. Il cuoco del Sud che per dimostrare di essere bravo prepara il risotto pecca di incoerenza nei confronti della sua terra e questo succede perché questa generazione viene da case in cui non si cucina più», sentenzia l’esperto. È il prodotto a fare la differenza, «perché se la tecnica s’impara un po’ ovunque, la materia prima non è replicabile». Dunque, in quest’ottica la questione più che «meridionale” sembrerebbe “settentrionale», nel racconto di un Sud fortunato perché profondo e rurale, «e nemmeno più tanto isolato grazie alla tecnologia».