Tre assoluzioni e la bonifica dell’area a carico del Comune di Taranto. O della Regione Puglia se il Municipio non dovesse provvedere. È questa, sostanzialmente, la conclusione del processo per i tre imputati coinvolti nell’inchiesta per disastro ambientale causato dalla ex discarica Vergine nel sottosuolo dei territori tra Lizzano e Fragagnano. Il giudice Federica Furio ha scagionato da tutte le accuse Paolo Ciervo legale rappresentante e liquidatore della «Vergine spa» dal dicembre 2019 (difeso dall’avvocato Michele Laforgia), Mario Petrelli succeduto alla carica di legale rappresentante (difeso dall’avvocato Gianluca Mongelli) e il responsabile tecnico dell’impianto Pasquale Moretti (difeso dall’avvocato Raffaele Errico e Giuseppe Passarelli).
Una decisione che ha come diretta conseguenza quella di passare la patata bollente della bonifica al capoluogo ionico poiché in base a una norma del Testo unico ambientale nel caso in cui i responsabili dell’inquinamento non siano individuabili spetta proprio all’Ente territorialmente competente provvedere (l’area in questione rientra infatti nell’isola amministrativa di Taranto). Se il comune dovesse non adoperarsi, l’onere ricadrà infine sulla Regione Puglia: per questo il magistrato ha trasmesso il dispositivo di sentenza a entrambi gli Enti. L’inchiesta, coordinata all’epoca dal pubblico ministero Lanfranco Marazia aveva evidenziato il reato di disastro ambientale come il risultato di «condotte tra loro indipendenti nelle rispettive qualità per colpa consistita in imprudenza e imperizia nella gestione del percolato e nell’impermeabilizzazione del bacino di discarica, trascurando l’intercettazione delle acque meteoriche» con la conseguente «alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulta particolarmente onerosa e raggiungibile solo con provvedimenti eccezionali». Per gli inquirenti era emersa la «contaminazione delle acque sotterranee» determinata dal percolato di discarica e quindi dall’accumulo di sostanze inquinanti come nitrati, boro, diossine e pcb.
Un’inchiesta avviata dalle denunce dell’associazione ambientalista Attiva Lizzano, assistita dall’avvocato Francesco Nevoli, avvallata dalle conclusioni dei consulenti Mauro Sanna e Bruno Greco incaricati dalla procura che aveva chiarito la delicata situazione in cui si trovava l’area sottostante la discarica già sequestrata a febbraio 2014. Per i tecnici, infatti, il fermo delle attività e il mancato intervento della società che gestiva la discarica dopo il sequestro, aveva causato danni alla falda. Per gli esperti fino al sequestro il percolato prodotto era stato prelevato e stoccato nei silos per lo smaltimento, ma con il fermo non era più stato «raccolto ed evacuato dalla discarica» e anche per la mancata raccolta delle acque piovane si era poi infiltrato nel sottosuolo inquinandolo in modo significativo. Una tesi che il giudice non ha evidentemente ritenuto attribuibile ai tre imputati tanto da assolverli «per non aver commesso il fatto».