TARANTO - Se l’impianto per la produzione del preridotto dell’ex Ilva dovesse sorgere a Taranto, il fenomeno delle polveri che si abbattono sulla città non svanirà. È quanto in estrema sintesi ha sostenuto in un’intervista Roberto Giua, per anni direttore del Centro Regionale Aria di Arpa Puglia. Intervenuto ai microfoni di Radio Cittadella, l’ex dirigente dell’agenzia regionale di protezione ambientale ha chiarito che il materiale rossastro che da decenni colora tragicamente il rione Tamburi e altre zone del capoluogo ionico continuerà a essere trasportato dai venti.
«L’impianto per la produzione del preridotto – ha spiegato Giua - è un reattore chimico in cui il minerale di ferro viene fatto reagire con un gas (e non più con il carbone come avviene negli altiforni attuali, ndr) e lo trasforma in ferro metallico. Il minerale di ferro da utilizzare non è quello che ora viene stoccato nei parchi minerali, ma è un po’ più puro, ma sempre materiale polverulento. Quindi nell’ipotesi in cui il Dri dovesse essere costruito a Taranto, lo spoverìo rimarebbe».
Proprio nei giorni scorsi il ministro Adolfo Urso ha lanciato un ultimatum agli enti locali dichiarando che se il capoluogo ionico non accettasse questo impianto, il territorio di Gioia Tauro si è detto pronto a ospitarlo. Il punto tuttavia non è solo l’accettazione, ma anche la scelta di dove costruire il Dri e i tre forni elettrici.
«È chiaro ormai a tutti che è stata un’immonda fesseria costruire gli impianti a ridosso della città perchè le emissioni hanno generato così malattia e morte: se lo rimettono lì commettono un secondo gravissimo errore. L’ipotesi più logica è che l’impianto Dri, ma anche i forni elettrici, li facciano in un altro luogo anche perché mentre li costruiscono, purtroppo gli impianti attuali devono continuare a funzionare. La cosa più ragionevole, detto tra virgolette, sarebbe fare tutto il più lontano possibile dalla città e comunque in una zona differente dall’attuale area a caldo. Guardi bisogna capire che, di fatto, parliamo di uno stabilimento nuovo: se si è commesso un errore negli anni ‘60 era fatto in buonafede, oggi non è più scusabile».
Giua ha poi chiarito la “nuova fabbrica” avrà comunque un impatto su ambiente e salute soprattutto dei lavoratori. «È un impianto a caldo – ha ribadito l’ex dirigente Arpa – quindi produce polveri, diossine, idrocarburi policiclici aromatici: certamente in quantità inferiori rispetto a quelle generate da una Cokeria o un impianto di sinterizzazione che non servono più, ma avrà certamente un impatto. I forni elettrici dovete immaginarli come un tipo diverso di acciaieria, ma comunque impattante come un’acciaieria: ritengo che in quelle future non avremo gli stessi fenomeni di quelle attuali, ma comunque produrranno fumi, polveri ed emissioni in aria».
E per chiarire se in definitiva questa nuova versione sia o meno un passo avanti rispetto allo stato attuale, Giua utilizza un’immagine: «Guardi è come se dicessero a una persona che ha preso per anni dieci pugni nello stomaco che gliene danno solo due. È meglio, ma non vuol dire che non faccia male».
Soprattutto per l’ex dirigente non va dimenticato né minimizzato che tutto questo incide su un’area già particolarmente degradata: «ammettendo per un attimo che azzerassimo le emissioni in aria – e non sarà così – restano comunque l’inquinamento nelle falde, nei sedimenti, nei terreni. Quello ce lo teniamo. Se le cose andranno meglio in futuro? Credo proprio di no. Le ripeto che la situazione ambientale e sanitaria è degradata e tale rimarrà: continuare ad accumulare altri impatti non potrà certamente migliorare la situazione».