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Ex Ilva, da oggi i periti al lavoro per capire le cause dell'incendio all'altoforno 1

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Anomalia all'Afo1 dell'Ilva a Taranto, allarme operaio evita scoppio

L'Alto Forno 1 dell'ex Ilva di Taranto

Procede l’inchiesta della Procura tarantina sull'incidente che potrebbe aver messo fuori uso l'impianto siderurgico

Giovedì 15 Maggio 2025, 05:06

10:20

TARANTO - Cominceranno questa mattina le prime indagini tecniche della procura di Taranto all'interno dell'Altoforno 1 dell'ex Ilva in cui il 7 maggio scorso si è sviluppato un incendio, al momento ancora senza cause, che ha spinto la procura di Taranto a disporre il sequestro senza facoltà d'uso dell'impianto. Saranno i tecnici di Arpa Puglia e Spesal a effettuare i prelievi del materiale che ha invaso l'intero campo di colata e raggiunto anche il piano stradale avvolgendo tutto in un rogo che fortunatamente ha causato solo piccole ustioni ed escoriazioni a cinque operai.

Si tratta in realtà solo del primo accertamento sull'incidente per comprendere non solo le cause, ma anche le eventuali responsabilità di quanto accaduto: al momento sotto inchiesta sono il direttore generale Maurizio Saitta difeso dall'avvocato Carlo Sassi, il direttore dello stabilimento Benedetto Valli assistito dall'avvocato Vincenzo Vozza e il direttore dell’area altiforni, Arcangelo De Biasi difeso dall'avvocata Corina Torraco. Le accuse sono di incendio, getto pericoloso di cose e, solo per Valli, la violazione delle norme imposte dalla «direttiva Seveso».

Secondo la procura ionica l’Altoforno1 dell’ex Ilva di Taranto ha manifestato «criticità nel ciclo tecnico produttivo e negli interventi manutentivi» e ora l'indagine dovrà approfondire e cercare conferme alla prima tesi emerse dall'intervento dei tecnici nelle ore in cui si stava domando l'incendio.

Nelle otto pagine che compongono il decreto di convalida del sequestro, il pm Francesco Ciardo ha spiegato che, al momento, ciò che emerge con «estrema chiarezza è l’assenza di eventi esterni (addebitabili all’attività umana o ad altro) in grado di recidere il nesso causale tra l’evento e le condizioni generali dell’impianto Afo1». In parole semplici significa che non vi sono stati errori del personale in servizio nelle fasi di produzione e quindi la causa dell’incendio di «vaste proporzioni» che ha richiesto ben 6 ore di attività dei vigili del fuoco per lo spegnimento, è da ricondurre alle condizioni in cui si trova l’altoforno. Anche AdI ha contemporaneamente avviato una indagine interna per risalire alla causa.

L'Afo1, stando al cronoprogramma presentato dall'azienda ai sindacati nel luglio 2024 doveva ripartire a ottobre e poi fermarsi a marzo in concomitanza della ripartenza dell'Altoforno2: quest'ultimo, tuttavia, secondo quanto appreso dalla Gazzetta avrebbe una serie di problematiche avrebbe problemi al «crogiolo» al punto che AdI ha dato mandato a due aziende specializzate per fare verifiche e analisi sullo stato dell’altoforno e le modalità e tempi del riavvio. Attività che sono partite proprio il giorno dell'incidente. Lo stop forzato di Afo2, evidentemente, ha costretto Acciaierie d'Italia ad allungare l'attività di Afo1: per quest'ultimo era infatti prevista una fermata di alcuni mesi per, anche in questo caso, un rifacimento del materiale refrattario.

Secondo quanto accertato nel corso delle prime indagini da Arpa Puglia e Spesal dopo l'incidente, una delle cause potrebbe essere proprio nella modalità di riattivazione dell’impianto a ottobre scorso, avvenuta tra l’altro alla presenza del ministro Adolfo Urso. L’Afo1, infatti, tra il 2012 ed il 2015 era stato oggetto di sostituzione completa del «refrattario interno», il materiale che compone il forno: a ottobre 2024, invece, al momento della sua ripartenza dopo aveva subito un anno e mezzo di «fermo a freddo», l’azienda aveva proceduto solo alla cosiddetta «shotcrete» (calcestruzzo proiettato) cioè lo spruzzo di materiale refrattario sulle pareti interne, e non una nuova completa sostituzione del materiale resistente alle alte temperature. «A tanto - scrive il pm Ciardo - si aggiunga, la singolare e preoccupante modalità dell’improvviso cedimento della tubiera e di cui si sconosce, allo stato, se sia stata oggetto di attività di manutenzione o sostituzione nel recente passato». Ora gli accertamenti dovranno chiarire come detto la causa e soprattutto se l'impianto sia o meno sicuro per gli operai.

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