Il pm nella sua requisitoria aveva spiegato che la vicenda «non è un banale estorsione, ma si inserisce ed è espressione di un fenomeno ambiguo, subdolo che necessita di un sforzo interpretativo per essere compresa. Una storia – ha spiegato il magistrato – che coinvolge soggetti apparentemente onesti come Verdolino che vanta frequentazioni con tutte le forze dell'ordine: non perde occasione per dirlo. Ma frequenta anche il peggio della criminalità. Come Cesario, capo indicusso insieme con il fratello defunto dell'omonimo clan».

Secondo l'accusa iniziale, avrebbe «consigliato» a un altro imprenditore di lasciare un locale perché interessava al figlio del boss Cesario: per i giudici non era una minaccia velata fatta in suo nome
Mercoledì 19 Marzo 2025, 15:49
16:02
TARANTO - Estorsione aggravata dal metodo mafioso. È di 5 anni e 4 mesi la condanna inflitta dal tribunale di Taranto nei confronti dell'imprenditore Giulio Verdolino accusato di estorsione con metodo mafioso ai danni di un altro imprenditore tarantino. Secondo l'accusa ricosciuta ora anche in primo grado, quest'ultimo, sarebbe stato costretto dai «consigli» di Verdolino a lasciare un locale perché interessava al figlio di «Giappone», soprannome del boss Mimmo Cesario, uno degli elementi di spicco della criminalità tarantina.
Il tribunale ha accolto la ricostruzione fatta dal pm Francesco Ciardo, ma ha inflitto una pena decisamente più bassa dei 13 anni e 6 mesi richiesti per Verdolino, difeso dagli avvocati Andrea Silvestre e Franz Pesare.
Il pm nella sua requisitoria aveva spiegato che la vicenda «non è un banale estorsione, ma si inserisce ed è espressione di un fenomeno ambiguo, subdolo che necessita di un sforzo interpretativo per essere compresa. Una storia – ha spiegato il magistrato – che coinvolge soggetti apparentemente onesti come Verdolino che vanta frequentazioni con tutte le forze dell'ordine: non perde occasione per dirlo. Ma frequenta anche il peggio della criminalità. Come Cesario, capo indicusso insieme con il fratello defunto dell'omonimo clan».
Il pm nella sua requisitoria aveva spiegato che la vicenda «non è un banale estorsione, ma si inserisce ed è espressione di un fenomeno ambiguo, subdolo che necessita di un sforzo interpretativo per essere compresa. Una storia – ha spiegato il magistrato – che coinvolge soggetti apparentemente onesti come Verdolino che vanta frequentazioni con tutte le forze dell'ordine: non perde occasione per dirlo. Ma frequenta anche il peggio della criminalità. Come Cesario, capo indicusso insieme con il fratello defunto dell'omonimo clan».
Il pm Ciardo aveva poi precisato che «non si troverà una minaccia esplicita nelle intercettazioni, ma allusioni, sottintesi e velate raccomandazioni a una vittima consapevole della caratura criminale dei personaggio». Nel suo racconto il pm ha riletto le due intercettazioni chiave della vicenda ricordando come la vittima, dopo la telefonata di Verdolino, abbia mandato all'aria una precedente trattativa per chiudere l'affare con Cesario: «Ho fatto passo indietro perchè si trattava di lui» aveva ammesso ignaro di essere ascoltato dai poliziotti della Squadra mobile salvo poi cercare di ridimensionare il senso delle parole dopo il rimbrotto di Verdolino che comprende il rischio di fare quelle dichiarazioni al telefono.