TARANTO - Si è chiusa con 12 indagati l’inchiesta sul fiume di monete e banconote false prodotte in una stamperia di Massafra e distribuite in tutta Italia. I pubblici ministeri Francesca Colaci e Raffaele Graziano hanno notificato nei giorni scorso l’avviso di conclusione delle indagini che portarono alla luce anche la compravendita di denaro fasullo in cambio di bitcoin.
Secondo l’accusa si tratta di un vera e propria associazione a delinquere composta da cinque persone: Mirko Laterza, 34enne di Massafra difeso dall’avvocato Angelo Casa, il 35enne Angelo Muzzonigro di Mottola assistito dall’avvocato Ignazio Dragone, il 24enne romano Jamel Eddine Maziane, il 31enne di Massafra Vincenzo Tateo difeso dall’avvocato Maurizio Besio, e infine il 33enne Nicolò Rossi di Gubbio in provincia di Perugia. Le attività investigative dei carabinieri avrebbero accertato la vendita monete false, in tagli da 2 euro e anche di banconote da 20 ricevendo in cambio bit coin.
Secondo l’accusa a capo dell’organizzazione c’era Laterza che per i pubblici ministeri Colaci e Graziano «promuoveva e organizzava l’associazione, con compiti di decisione e di pianificazione del programma criminoso e di attribuzione dei ruoli ai partecipi». Tra questi, come detti, c’è anche Muzzonigro, ritenuto il “coniatore” delle monete false e di venditore sul canale Telegram. Vincenzo Tateo, invece, era il formale intestatario di tutti i contratti di forniture energetiche e di prodotti necessari per mandare avanti la stamperia abusiva in via Petrarca a Massafra. Ma le indagini dei militari dell’Arma hanno permesso di arrivare fino a Christan Conte, 33enne di Castellaneta difso dall’avvocato Tommaso Bozza e ritenuto «escrow» cioè il garante delle compravendite di monete false effettuate su Telegram per un ammontare complessivo di oltre 1 milione di euro: per gli inquirenti Conte, unico a essere finito in carcere, in sostanza di occupava di ostacolare l’identificazione del denaro garantendo l’anonimato delle numerosissime transazioni illecite tra i venditori e gli acquirenti, che veniva effettuato in criptovalute in modo da non mettere in relazione le parti rispetto a quella operazione finanziaria. Nei suoi confronti il gip Benedetto Ruberto dispose il sequestro di bitcoin per un valore di circa 70mila euro.