TARANTO - Sono quattro le condanne chieste dal pubblico ministero Remo Epifani confronti di alcuni degli imputati coinvolti nel blitz «Lupara» che aveva portato alla luce «la mala dei pascoli» nel tarantino e in particolare tra Pulsano e Lizzano. Il magistrato inquirente, al termine della sua requisitoria ha chiesto una pena di 8 anni di carcere per Antonio Cappuccio, 72enne pulsanese già condannato per mafia perché affiliato all’ormai dissolto clan Modeo e zio di Marino Pulito, il macellaio che fu luogotenente dei fratelli Riccardo, Gianfranco e Claudio. Stessa richiesta di condanna per il figlio 49enne Cosimo Cappuccio e poi 7 anni per il nipote 23enne Anthony Basile e infine 6 anni di reclusione per Pasqualina Morciano.
Secondo l’accusa facevano pascolare le greggi sui terreni di altre aziende agricole e chi protestava rischiava minacce, incendi e danneggiamenti. Un incubo durato oltre dieci anni per numerosi imprenditori concluso con accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata all’introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui, pascolo abusivo, furto, danneggiamento, occupazione di edificio, estorsione e incendio.
Le indagini dei carabinieri hanno permesso di individuare una zona ricompresa tra i comuni di Pulsano, Leporano, Lizzano e Taranto, per un’estensione di diverse centinaia di ettari, letteralmente flagellate dal pascolo incontrollato di greggi. La famiglia, secondo l’accusa, dopo aver occupato abusivamente un’antica masseria e le aree di pascolo, destinate come ricovero degli animali e alla macellazione clandestina, avrebbero acquisito il controllo delle aree per il pascolo delle greggi esercitando un’asfissiante forza intimidatrice nei confronti di numerosi imprenditori agricoli, costretti a subire le invasioni di oltre capi di bestiame di proprietà dell’azienda agricola riconducibile degli imputati. In oltre dieci anni sarebbero, per i militari dell’Arma, ingenti danni generati a colture e piantagioni oltre alla grave compromissione dello stato dei terreni.
Un dominio incontrastato che piegava gli imprenditori costretti a subire in silenzio o a «implorare» gli imputati affinché concedessero ai legittimi proprietari la possibilità di raccogliere i frutti prima di lasciare che le loro greggi pascolassero abusivamente in quei terreni.
Un’egemonia raggiunta grazie al nome di Antonio Cappuccio, «un semplice pastore – aveva scritto il giudice Giovanni Caroli nell’ordinanza che portò al loro arresto – in grado di assoggettare un grande numero di piccole e grandi aziende agricole, ed ottenere il totale controllo di vastissime aree di territorio». Nella prossima udienza, la parola passerà al collegio difensivo, composto tra gli altri dagli avvocati Luigi Esposito, Flavia Russo, Diego Maggi e Mariangela Calò: infine toccherà ai giudici riunirsi in camera di consiglio per la sentenza.