MOTTOLA - Colpito come un pungiball su cui sfogare la rabbia. Così il giudice Fulvia Misserini ha descritto le torture subite da Carmelo Aloisio, 56enne con disabilità psichiche, e compiute dal nipote 25enne Ivan D’eredità, condannato a 4 anni per tortura, maltrattamenti e sequestro di persona nei confronti dell'uomo. Violenze riprese da una telecamera a circuito chiuso che sono poi finite sui social network e diventate virali permettendo ai carabinieri di intervenire per liberare la vittima e arrestare il nipote. I militari della compagnia di Massafra, una volta arrivati hanno accertato che l’uomo era rinchiuso all’interno di una stanza nella quale non solo non c’era neppure una bottiglia d’acqua, ma che la chiusura della porta gli impediva persino di andare in bagno. Il pubblico ministero Francesco Ciardo ha avviato l'indagine che ha portato all'arresto del giovane il 12 luglio 2022: il pm aveva contestato da subito i gravi reati e tra questi quello di tortura per il trattamento inumano e degradante che il giovane aveva riservato al parente.
Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato velocemente alla condanna e nelle motivazioni depositate alcune settimane fa, il giudice Misserini ha specificato che l'anziano, deceduto qualche settimana dopo ma per altre cause, aveva subito «un’aggressione a senso unico, violenta, a tratti brutale, nel corso della quale l’imputato, ripetutamente, ha colpito con pugni, calci, anche con il bastone lo zio. Lo ha colpito più volte, violentemente, anche con una scarpa».
Ma non solo. Le diverse testimonianze raccolte dagli investigatori dell'Arma e dal pm Ciardo hanno permesso di ascoltare persone vicine al 25enne che hanno confermato come «lui non fosse cattivo ma era arrivato ad uno stato psicologico molto critico per le dovute assistenze che doveva prestare allo zio che lo rendeva nervoso e irascibile. Sfogava tale rabbia in gesti estremi come provocare lesioni allo zio mediante pugni e schiaffi». L'anziano, quindi, era l'oggetto su cui scaricare il nervosismo che quell'assistenza generava. «Condotte – scrive ancora il magistrato nella sentenza - connotate da elementi di brutalizzazione quali ad esempio l’uso del bastone e della scarpa per colpire l’Aloisio, posto quindi, in una condizione degradante e disumana: lo zio ridotto appunto quale una specie di pungeball utilizzato per parare i colpi del nipote che in questo modo sfogava la sua rabbia e frustrazione».
La vicenda era finita sui media nazionali in occasione dell’arresto del giovane, ma poi aveva suscitato un nuovo vespaio di polemiche quando a Mottola erano comparsi i manifesti funebri sui quali era riportato anche il nome del suo presunto carceriere. La famiglia aveva inizialmente fissato il funerale per il 25 luglio, ma l’intervento della magistratura per l’esecuzione dell’autopsia aveva bloccato tutto. I funerali di Carmelo Aloisio sono poi stati celebrati solo il 3 agosto, ma dai nuovi manifestati sparsi per il paese era scomparso il nome del nipote. Inizialmente l’ipotesi della procura era che la morte del 56enne fosse una conseguenza delle percosse subite nella «abitazione-prigione» in cui era rinchiuso, ma gli esiti dell’autopsia hanno come detto però scongiurato questa ipotesi.
D’eredità, difeso dall’avvocato Cristiano Rizzi, aveva manifestato il suo pentimento per quelle violenze immortalate dalla telecamera e il legale aveva fatto leva sulle problematiche psicologiche del giovane: una tesi che non ha evidentemente fatto breccia nel giudice di primo grado e che chiaramente sarà ripresentata dinanzi alla Corte d'appello.