Nelle 74 pagine depositate alcuni giorni fa, il magistrato ha spiegato le ragioni che hanno portato alla condanna, ma soprattutto da quelle pagine è emerso il clima di terrore vissuto dai bambini in quei mesi: uno «scenario di condotte aggressive, sia fisiche che psicologiche, poste in essere da parte della maestra – scrive il giudice – che faceva ricorso sistematico all’uso della violenza, assunto quale usuale ed ordinario modo comunicativo e di contenimento della vivacità e dell'esuberanza dei minori».
Insegnanti e genitori hanno svelato agli investigatori della Squadra mobile, coordinati dal pm Vittoria Petronella, e poi confermato in aula durante il processo che «sin dai primi giorni di scuola, degli atteggiamenti inappropriati» avevano generato reazioni inquietanti: qualcuno vomitava, qualcun altro scoppiava in lacrime appena entrava in classe. Altri urlavano o assumevano atteggiamenti aggressivi, una bambina era arrivata a nascondersi sotto il banco e dondolarsi per la paura.
Per il tribunale si è trattato di «un quadro di rinnovate e sistematiche percosse e violenze, gravi strattonamenti e spintoni, atteggiamenti aggressivi, urla e grida rivolte da parte dell'imputata in danno dei bambini». Azioni che la donna non modificava neppure «di fronte al senso di smarrimento e ai pianti sconsolati dei minori». Il testimone chiave è stata la maestra che insieme all’imputata gestiva la classe: era stata lei a tentare di far ragionare la collega, a consolare i bambini e infine a denunciare la vicenda alla dirigenza scolastica. La testimone ha raccontato in aula che più volte aveva bloccato la collega intimandole di non quegli siffatti atteggiamenti, ma non era bastato. Ha svelato che uno scolaro spesso fuggiva dall'aula e una volta, dopo essere corsa per riprenderlo era tornata in classe e si era accorta di un altro bambino seduto su una sedia che piangeva con le braccia e la testa riverse dietro «come se non riuscisse a respirare». Aveva chiesto spiegazioni alla collega, che rispondeva di essersi limitata a rimproverarlo. Tutte le volte che veniva ripresa, anche da altre colleghe, la donna negava i maltrattamenti e provava a scaricare sulle famiglie.
Una delle piccole allieve, ad esempio, non appena vedeva avvicinarsi un'insegnante poneva le braccia dinanzi al volto in segno di difesa: l’imputata si era difesa dicendo «Non vedi che famiglia è? Sicuramente prende botte dalla mamma». Non solo. «È opportuno evidenziare – ha aggiunto il magistrato - come tutta la classe abbia risentito del clima generale di sopraffazione e di angherie creato dalla condotta dell'imputata».
Anche dopo l’arresto della donna, infatti, gli insegnanti si erano accorti che i bambini non riuscivano ad avere alcun contatto tra loro: «non si abbracciavano né si parlavano – ha raccontato i testimoni in aula – anzi i bambini si rapportavano tra loro, dandosi schiaffi, morsi e pugni e manifestavano una forte rabbia». Alcuni manifestavano persino una «mania distruttiva, lanciando sedie e spaccando oggetti».