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Neri Marcorè a Taranto per il MAP Festival: «La musica è compagna di vita»

 
Claudio Frascella

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Claudio Frascella

Neri Marcorè a Taranto per il MAP Festival: «La musica è compagna di vita»

Nelle due ore e passa, Marcoré canta De André, Fossati, De Gregori. Perfino Celentano e Morandi, mescolando insieme C’era un ragazzo… e Il ragazzo della Via Gluck

Venerdì 23 Giugno 2023, 11:35

«Luglio di Del Turco a tre anni, Too much heaven dei Bee Gees a dodici, Mrs. Robinson di Simon e Garfunkel a diciotto». Tre titoli fondamentali nella formazione musicale di Neri Marcoré, l’attore-cantante che ha tenuto un concerto nell’Oasi dei Battendieri in una masseria alle porte di Taranto, in occasione del «MAP Festival». Sembra sia uno scherzo, quando Marcoré, dopo l’ultimo brano in scaletta, spiega che «la notte è lunga». Canta per due ore e un quarto. «E di canzoni - credetemi - io e Domenico Mariorenzi avremmo potuto cantarne ancora tante, solo che - si dice - s’era fatta ‘na certa, allora abbiamo raccolto gli attrezzi del mestiere e salutato».

E non finisce lì, a ridosso della mezzanotte. A fine concerto sono in tanti a reclamare un selfie. Marcoré conosce perfettamente la modalità, non fa una grinza. Resta sul palco, si piega sulle ginocchia, concede gli ultimi sorrisi della serata a macchine fotografiche e a videocamere di ultima generazione. Scattano i clic, a decine come avviene per le richieste e lo scambio di battute fra artista e pubblico. Due accordi e «Vediamo se indovinate chi la canta…Senza l’ausilio del telefonino, però, non vorrete fare i fenomeni con l’i-phone…».

Nelle due ore e passa, Marcoré canta De André, Fossati, De Gregori. Perfino Celentano e Morandi, mescolando insieme C’era un ragazzo… e Il ragazzo della Gluck. Qualcuno gli chiede Baglioni, lui invece accenna, imita Ligabue, e intona Piccola stella senza cielo. «Il mio concerto, non è “uno spettacolo di arte varia”, come direbbe Paolo Conte, ma di musica di vari autori. Spazio fra la musica italiana, per la maggior parte, e quella straniera con artisti del calibro di Simon & Garfunkel e James Taylor: roba buona, diciamolo, eseguita in duo, dal sottoscritto e Domenico Mariorenzi, un’amicizia, la nostra, che risale dai tempi del servizio militare. Poi ci siamo casualmente combinati sulle note e da dieci anni circa imperversiamo in giro per l’Italia, in duo o con la band a fare spettacoli e concerti».

La selezione delle canzoni, piacevole e dolorosa.

«Bella domanda, il dolore è il non poter fare un concerto di quattro ore: ogni sera cerchiamo di cambiare la scaletta e c’è sempre qualche pezzo che inevitabilmente resta fuori. È tanto l’amore per la musica e per certe canzoni che, talvolta, tenerne fuori qualcuna provoca un certo dolore. Poi la sequenza, il più delle volte, la decide il contesto: qui ci troviamo in una masseria, bellissima, accogliente, un pubblico di qualità mi dicono, pertanto prevediamo un rapporto molto bello, intimo: potrebbe esserci più spazio per brani più sussurrati».

Tre canzoni della sua vita.

«Faccio presto a ricordarli. Avevo tre anni, cantavo e ricantavo, come una litania, Luglio di Riccardo Del Turco, che tanto piaceva a mia madre; poi, dodici anni, Too much heaven dei Bee Gees, grazie alla quale ho messo per la prima volta i piedi su un palco: mi aveva ascoltato Giancarlo Guardabassi, cantante, autore, conduttore radiofonico, che di fatto mi ha iniziato a questa attività che in seguito è diventata una professione; infine, Mrs. Robinson, ripresa da un disco, il live che celebra il Concerto di Central Park di Simon & Garfunkel, disco che ho consumato mentre a diciotto anni mi preparavo per gli esami di maturità: ascoltavo la musica in cuffia e avevo imparato tutte quelle canzoni a memoria».

Tanto De Andrè e non solo.

«Ma il grande Fabrizio è in buona compagnia: assieme a lui metterei De Gregori, Gaber e Fossati. Questo è il poker che ho in mente, poi Gianmaria Testa e tanti altri: Capossela, Fabi, Silvestri, Barbarossa, tutti amici».

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