TARANTO - Testimoni quasi inattendibili, accuse contraddittorie, riscontri evanescenti. Sono i motivi principali che hanno spinto la Corte d’appello di Taranto ad annullare la condanna inflitta in primo grado nei confronti di due ufficiali della Marina militare coinvolti nell’inchiesta sulla tangentopoli a Maricommi.
Si tratta di Vincenzo Attolino, difeso all’avvocato Gianluca Mongelli e Sergio Zampella, difeso all'avvocato Pietro Putignano: in primo grado i due erano stati riconosciuti colpevoli del reato di corruzione e condannati a 3 anni e 4 mesi Attolino e a 2 anni e 8 mesi Zampella.
Nel processo di secondo grado, però, gli avvocati Mongelli e Putignano sono riusciti a dimostrare che l’estraneità dei propri assistiti alle accuse. In particolare hanno spiegato alla Corte d’appello le diverse falle nell’indagine e anche nella sentenza di condanna. Secondo l’accusa iniziale i due ufficiali avrebbero ricevuto tangenti pari al 10 per cento del valore degli appalti concessi.
Gli elementi principali nei confronti dei due imputati erano costituiti sostanzialmente dalle dichiarazioni rese da due imprenditori che, dopo essere stati arrestati, hanno iniziato a collaborare con la procura svelando la rete di interessi e connivenze tra i vertici di Maricommi e una parte dell’indotto ionico. Gli accusatori avevano descritto le modalità, le occasioni e i luoghi nei quali avevano versato tangenti a entrambi i militari, ma confrontando le dichiarazioni rese dai due, i giudici d’appello hanno ritenuto che queste dichiarazioni non fossero univoche tra loro. Il collegio di magistrati, presieduto dal giudice Antonio Del Coco e a latere Paola Incalza e Luciano Cavallone, ha infatti definito quelle dichiarazioni contraddittorie. Le accuse mosse dagli imprenditori arrestati, «avrebbero dovuto essere supportate da adeguati riscontri» che invece secondo i giudici della Corte d’appello «risultano manifestamente carenti» e «proferite da persone certamente interessate ed addirittura avvezze a tutelare i propri interessi anche concordando quanto dire agli inquirenti».
Per i magistrati di secondo grado, infatti, quelle dichiarazioni sono contraddittorie e confuse rispetto ad alcuni fatti e ad alcune date: «si potrebbe dire - si legge nella sentenza emessa il 21 giugno scorso - che nel diffuso malcostume emerso e nella reiterata prassi circa il pagamento delle tangenti, i corruttori non avessero ben chiare le dazioni effettuate».
Insomma il sistema corruttivo nella base militare di Taranto esiste, ma in questo caso non è stato provato: c’era bisogno di riscontri più efficaci. Non solo. Gli imprenditori potrebbero aver raccontato quegli episodi per questioni astio nei confronti degli ufficiali che avrebbero penalizzato le loro aziende: «è evidente – scrivono i magistrati - che essi avessero tutto l'interesse a cercare di far rimuovere dai loro incarichi chi era divenuto un ostacolo ai loro loschi affari. Ed allora, a maggiore ed ulteriore ragione - aggiunge la Corte d’appello - i riscontri nel caso in esame, avrebbero dovuto essere particolarmente significativi, laddove, per contro, essi sono invece del tutto evanescenti».
La tesi difensiva degli avvocati Mongelli e Putignano ha quindi fatto breccia nei giudici che alla fine del processo hanno emesso una sentenza di assoluzione «perché il fatto non sussiste» nei confronti dei due militari.