TARANTO - L’ex presidente della Provincia di Taranto, Martino Tamburrano, «pur di assecondare la propria avidità, non si è fatto scrupoli nel piegare la sua funzione pubblica». È quanto scrivono i giudici del tribunale ionico nelle motivazioni della sentenza con cui, il 16 novembre 2022, lo hanno condannato a 9 anni e 6 mesi con l’accusa di aver autorizzato l’ampliamento della discarica «La Torre Caprarica» ricevendo in cambio tangenti e favori. Nei giorni scorsi, il collegio di magistrati composto dal presidente Patrizia Todisco e a latere i giudici Marco Gallucci e Federica Furio, hanno depositato ben 568 pagine nelle quali hanno spiegato le ragioni delle condanne inflitte all’ex presidente, difeso dagli avvocati Carlo Raffo e Giuseppe Modesti, e agli altri imputati: nel verdetto, infatti, erano decretate anche la condanna a 7 anni per il dirigente della Provincia Lorenzo Natile, difeso dagli avvocati Claudio Petrone e Daniele D’Elia, a 9 anni per l’imprenditore Pasquale Lonoce e infine a 8 anni per Roberto Natalino Venuti, manager di «Linea ambiente», società del gruppo «A2a» che gestiva la discarica.
Al centro delle indagini svolte dai finanzieri, guidate allora dal tenente colonnello Marco Antonucci e coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone e dal sostituto Enrico Bruschi, c’era la determina dirigenziale per l’ampliamento della discarica concessa dalla Provincia guidata allora da Tamburrano: un provvedimento firmato materialmente da Natile, ma per l’accusa orchestrato proprio dall’ex presidente che in cambio avrebbe ottenuto denaro e altri beni. Secondo l’accusa, l’allora presidente della Provincia di Taranto avrebbe intascato, grazie al tramite di Lonoce, ben 5mila euro al mese da Venuti che ricopriva il ruolo di procuratore speciale di Linea ambiente srl.
Secondo il quadro tracciato dai finanzieri Tamburrano aveva ribaltato il primo diniego della Provincia all’ampliamento della discarica di Grottaglie e aveva concesso, influenzando il dirigente, il via libera a un affare che portava nelle tasche della società 1 milione di euro al mese.
Una tesi che il tribunale ha sostanzialmente confermato: nelle numerose pagine che spiegano la decisione, si legge infatti che Tamburrano «era ben conscio del fatto che, per ottenere un provvedimento favorevole a Linea Ambiente, fosse necessario interporre i suoi buoni uffici presso alcuni membri di tale organo, data la crucialità delle loro valutazioni tecniche». In cambio avrebbe ottenuto tangenti pagate in contanti o comunque in modo non tracciabile: una parte di queste sarebbe stata «ottenuta distraendo somme dai conti della società e dal conto corrente di Lonoce».
Per i magistrati, il sistema era chiaro: «i contratti stipulati da Linea Ambiente (società che gestiva la discarica di Grottaglie) e 2L Ecologia (società riconducibile all'imputato Lonoce) nel periodo ricompreso tra agosto 2017 e aprile 2019, aventi ad oggetto per lo più servizi di pulizia, erano in parte preordinati all'esecuzione dell'accordo corruttivo». Quei contratti, insomma, avevano un doppio scopo: da un lato, remunerare Pasquale Lonoce per il contributo da intermediario tra Venuti e Tamburrano per il rilascio dell'autorizzazione all'ampliamento della discarica e, dall'altro, quello «di creare la provvista economica da cui attingere le somme da destinare al pagamento delle tangenti» promesse all’ex presidente «per condizionare, in modo favorevole a Linea Ambiente, il corso e l'esito del procedimento amministrativo».
Oltre alle tangenti, però, Lonoce si sarebbe fatto carico anche delle spese della campagna elettorale - circa 250mila euro - per sostenere la corsa di Maria Francavilla, moglie di Tamburrano e candidata al Senato nelle liste di Forza Italia alle elezioni politiche del 2018.