TARANTO - Nuova tegola giudiziaria per Armando Parnasso, l’imprenditore tarantino condannato definitivamente per la maxi truffa all’Asl di Taranto nei primi anni del 2000. Dopo la condanna a 9 anni e 4 mesi e un processo in corso sempre per truffa all’azienda sanitaria, ora Parnasso, difeso dall’avvocato Giuseppe Leoni, rischia di finire nuovamente a processo con l’accusa di bancarotta fraudolenta.
Secondo il pubblico ministero Mariano Buccoliero avrebbe distratto dai conti della società «Tecnogest srl» la somma di 4 milioni e 850mila euro di cui la metà sotto forma di crediti e denaro liquido non ritrovate dai professionisti nominati dal tribunale dopo il fallimento della società. Società non nuova alle cronache. È proprio «sostituendo» la società Tecnogest che, secondo la procura di Taranto, Parnasso avrebbe messo a segno, nel 2018, un’altra truffa ai danni dell’Asl tarantina.
La vicenda coinvolge imprenditori, dirigenti e dipendenti dell’azienda sanitaria ionica e a febbraio 2018 portò anche a un sequestro. Fu il gip Martino Rosati, all’epoca, a ordinare i sigilli ai beni definendo gli indizi raccolti dagli investigatori «nitidi e indiscutibili». Tutto nacque dal procedimento civile tra la «Tecnogest srl» di Massafra e l’Asl ionica in cui la prima chiedeva alla seconda il pagamento di oltre 730mila euro per alcuni contratti di appalto. Nel corso del processo civile, però, le due parti raggiunsero un accordo in cui l’Asl si impegnava a versare 280mila all’impresa, ma poco prima era accaduto qualcosa di incredibile: l’accordo non fu infatti stipulato tra l’Asl e la Tecnogest srl di Massafra, ma con la «Tecnogest srl» di Roma: «una società omonima – scrive il gip Rosati nel decreto di sequestro – avente il medesimo amministratore unico dell’altra, però con sede in Roma» e quindi «un soggetto giuridico del tutto differente». Un semplice caso di omonimia? Niente affatto secondo gli investigatori.
Per l’accusa la Tecnogest srl di Roma era una società creata da Parnasso proprio per mettere a segno la truffa. Due società con la stessa denominazione, lo stesso amministratore unico e, nelle comunicazioni con l’Asl, persino la stessa carta intestata. Solo in calce, scritto a caratteri piccolissimi, c’era l’indicazione della sede legale a Roma. Con quell’escamotage, l’imprenditore avrebbe ottenuto che il denaro dell’Asl non finisse nelle casse della Tecnogest srl di Massafra, che nel frattempo era fallita e quindi il denaro sarebbe stato gestito dai curatori, ma nelle casse della società gemella che lui poteva controllare.
Sulla vicenda, e sulle accuse, è in corso un processo che dovrà chiarire le eventuali responsabilità penali dell’imprenditore e proprio nel corso di quel processo, sono emersi dettagli sulla contabilità della società massafrese che ha dato vita a un nuovo filone di indagine da cui sarebbero emersi gli indizi della bancarotta fraudolenta che oggi, mentre sta scontando ai domiciliari la condanna a 9 anni di carcere per la maxi truffa ed è sotto accusa per una seconda truffa, rischia nuovamente di portare Parnasso alla sbarra.