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ArcelorMittal avverte: accordo a novembre o andiamo via da Taranto

 
MARISTELLA MASSARI

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MARISTELLA MASSARI

Mittal avverte: accordo a novembre o andiamo via  da Taranto

I sindacati: il 70% degli impianti è fermo

Venerdì 31 Luglio 2020, 09:15

TARANTO - Arcelor Mittal ha sospeso tutti gli investimenti «non essenziali» per far fronte all’epidemia di Covid che ha abbattuto le spedizioni di acciaio del 23,7% nel secondo trimestre. Continuano solo tre programmi e quello dell’ex Ilva di Taranto è tra questi, insieme con un progetto in Messico e ai piani per la riduzione delle emissioni.

La nota sui conti trimestrali conferma la centralità dell’operazione in Puglia per la multinazionale, che al tempo stesso rimarca di avere una via d’uscita: il diritto di ritirarsi, pagando una penale, se non ci sarà l’accordo entro il 30 novembre. Intanto all’inizio del mese, l’azienda ha chiesto altre 13 settimane di cassa integrazione ordinaria per 8.152 dipendenti di Taranto dal 3 agosto.

I primi sei mesi del 2020 «sono stati tra i periodi più difficili nella storia della società», dichiara il ceo, Lakshmi Mittal, la perdita netta del gruppo ha raggiunto 1,7 miliardi di dollari, ma ora ci sarebbero segnali di una ripresa, con la fine del lockdown e la ripartenza, in Europa, dell’industria dell’auto e della manifattura. «Siamo ben preparati per aumentare la produzione e cogliere il miglioramento della domanda quando arriva», continua Mittal che si dice pronto a «cambiamenti strutturali».

Ma la situazione a Taranto è tutt’altro che rosea. ArcelorMittal, infatti, 48 ore fa, ha comunicato alle organizzazioni sindacali la fermata anche del Tremo Lamiere, dopo quella della scorsa settimana del Laminatoio a Freddo. «Al momento lo stabilimento è fermo per il 70% dei suoi impianti. Va anche fatto notare che le operazioni di accensione e spegnimento vengono effettuate senza che siano previsti interventi di manutenzione e dunque assolutamente non in condizioni di sicurezza», ha sottolineato in una nota il coordinamento Usb di Taranto, aggiungendo che «aumentano i lavoratori in cassa integrazione, circa 4.000 al momento. Non supera le 2.700 unità invece il numero dei dipendenti che si avvicendano sui tre turni nella fabbrica». Secondo l’organizzazione sindacale, «con questi presupposti, difficile non pensare che ArcelorMittal intenda abbandonare il sito tarantino appena possibile, sito ormai seriamente compromesso. Presumibilmente il 30 novembre, termine di scadenza del contratto firmato il 6 settembre 2018».

Sulla questione indotto interviene invece Vincenzo Castronuovo della Fim Cisl. «A noi risulta che le aziende dell’indotto-appalto siderurgico di Taranto sono gravemente in sofferenza economica e dubitiamo che lo scaduto fatture non pagate sia solo di 35 milioni».

«Antonio Lenoci, presidente della metalmeccanica per Confindustria Taranto, indica questa cifra di scaduto e annuncia che ArcelorMittal ha pagato 3 milioni, ma lui - afferma Castronuovo - parla solo per Confindustria mentre qui ci sono tantissime aziende che non fanno parte di Confindustria e di queste, allora, che ne facciamo? Non è possibile fare un discorso a metà, perché in ArcelorMittal ci sono almeno 300 aziende, non tutte sono rappresentate da Confindustria, e stanno tutte malissimo»
«È stato annunciato che ArcelorMittal ha reimpostato il programma dei pagamenti e questo permetterà una migliore gestione della situazione. Noi vediamo invece che le cose vanno sempre peggio. Ci sono aziende che vantano verso il committente ArcelorMittal importi rilevanti di diversi milioni. I lavoratori sono disperati - conclude Castronuovo -. Chi viene chiamato al lavoro, non ha nemmeno i soldi per prendere l’auto e recarsi al cantiere nel siderurgico».

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