TARANTO - Non è stato trovato un «accordo amichevole» tra lo Stato italiano e i cittadini di Taranto che hanno presentato alla Corte europea dei diritti umani (Cedu) di Strasburgo un secondo ricorso dopo quello culminato lo scorso anno nella condanna dell’Italia per la violazione di due articoli della Convenzione. La sentenza del 24 gennaio 2019 è diventata definitiva il 24 giugno, ma in questi mesi secondo i ricorrenti la situazione non è cambiata. «Il governo - spiega l'ex consigliere comunale Lina Ambrogi Melle, prima firmataria - è chiamato a fornire una risposta circa la violazione del diritto alla vita (art. 2 Cedu), del diritto al godimento della vita privata e familiare (art. 3) e del diritto a un ricorso effettivo (art. 13)». Preso atto del mancato raggiungimento di una composizione amichevole con il Governo italiano sulla controversia relativa al nuovo ricorso, la Corte ha fissato il termine del 23 aprile 2020 entro il quale il Governo dovrà presentare le proprie osservazioni di replica unitamente alla descrizione dei fatti di causa.
E’ iniziata «la fase contenziosa del nuovo ricorso - aggiunge Ambrogi Melle - che prevedibilmente non potrà contraddire le conclusioni della precedente condanna. Dopo la sentenza dello scorso anno, numerosi altri gravi accadimenti si sono succeduti e si sono registrati svariati fenomeni di emissioni massicce, anomale e non convogliate provenienti dal siderurgico, attualmente gestito da Arcelor Mittal». Il Governo italiano, anzichè «fermare - conclude l’ex consigliera comunale - gli obsoleti impianti pericolosi, non a norma e sotto sequestro penale perchè 'causano malattie e morti', sta addirittura progettando di aumentare la produzione aggiungendo agli attuali impianti altri altoforni alimentati a gas al solo scopo di generare profitti a scapito della salute degli operai e dei tarantini tutti». Il ricorso è stato presentato tramite gli avvocati dello studio legale Saccucci di Roma.