«Sbagliando s'impara è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe essere che sbagliando s'inventa». Lo aveva detto Gianni Rodari nella sua celebre Grammatica della fantasia. Sostenitore della portata creativa dell'errore, grande esperto di letteratura per l’infanzia, aveva descritto e colorato la fantasia fino a farla diventare la caratteristica umana più potente sin dalle prime fasi di vita di un bambino. Ed è senz’altro questa virtù a fare da filo rosso al Buck festival, brand di casa nostra ormai riconosciuto e riconoscibile non solo in città ma anche a livello nazionale dopo 12 anni di successi messi su con perizia e pazienza dalla biblioteca “La Magna Capitana” e dalla fondazione Monti Uniti.
Quest’anno una madrina di eccezione, la francese Sophie Fatus, ha aperto le danze per raccontare alle bambine e ai bambini, con la sua perizia di illustratrice e scrittrice, come cambia il mondo e, soprattutto, come renderlo più bello. Sono forse gli occhi timidi, innocenti e vivaci dei bambini a poter intercettare e fare proprio l’obiettivo della rassegna, quello di educare allo sguardo, alla bellezza, alla cura del territorio. La dispersione scolastica, vero e proprio vulnus di un territorio, il nostro, che fa fatica a instillare quell’educazione permanente alla vita, si combatte così; attraverso i libri e i colori, che nascondono viaggi, emozioni e voli; per non parlare delle frastagliate idee che contornano il festival. Editoria, musica, teatro: tutto ciò che può dare senso e sale alle nostre esistenze non arrese alla paura e alla mancanza di spessore si trova condensato in questi giorni con nomi di grande caratura e nei luoghi che rivivono, musei, teatri e sale studio.
Cediamo anche noi per un attimo al fascino dei colori e a uno dei libri di Sophie Fatus, Se io fossi blu. Chi non ha mai immaginato in vita sua di essere un colore e vedere il mondo da quella prospettiva? Ci auguriamo cento di questi blu per l’ambiente, per il brivido del mare e per l’orizzonte di speranza, elementi che con le gradazioni del blu hanno a che fare. E attraverso il festival celebriamo il fascino e il mistero dell’infanzia tenendo per mano tutti noi quel fanciullino di pascoliana memoria che ci ricorda quando noi cresciamo “che egli resta piccolo; ma noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare”. E se il desiderio è la mancanza di stelle (de-sideris) – e dunque un’accensione interiore per vederle – oggi siamo tutti come quella miriade di bambini in festa tra gli stand del Buck a credere fermamente di poterle afferrare.