Nel 2026 che si apre con prospettive incoraggianti per la produzione nazionale di olio extravergine di oliva, soprattutto nel Mezzogiorno, a far rumore non è tanto la ripresa dei raccolti quanto il parallelo e consistente aumento delle importazioni dall’estero.
Un fenomeno che, pur non essendo nuovo, assume dimensioni rilevanti alla luce dei dati ufficiali della Repressione Frodi: al 30 novembre 2025, nei silos dell’industria olearia italiana risultavano stoccate 42.689 tonnellate di olio extravergine comunitario, quasi il doppio rispetto alle 23.768 tonnellate dello stesso periodo del 2024. A queste si aggiungono quasi 9.000 tonnellate di olio extra UE e blend (olio extravergine d'oliva ottenuto miscelando oli estratti da due o più varietà diverse di olive), contro le 5.800 dell’anno precedente. Numeri che crescono in un contesto produttivo tutt’altro che stagnante.
Anzi, l’extravergine italiano segna un incremento vicino al 18%, passando da 85.000 a oltre 101.000 tonnellate. E la Puglia si conferma ancora una volta il baricentro dell’olivicoltura nazionale.
Con 101.346 tonnellate di olio extravergine in giacenza, la regione detiene il 49,9% del totale italiano, distanziando nettamente Calabria e Toscana, che si attestano rispettivamente a 25.158 e 33.062 tonnellate.
Un primato che non è solo quantitativo, ma anche strutturale. La Puglia guida il Paese non solo nella produzione, ma anche nella capacità di stoccaggio, distribuzione e valorizzazione del prodotto. La provincia di Bari concentra oltre 20.400 tonnellate di extravergine, seguita dalla Bat con 16.830 tonnellate, a testimonianza di un sistema olivicolo che resta centrale nei flussi commerciali nazionali. Foggia e Brindisi, pur con numeri più contenuti, contribuiscono a rendere la regione il vero motore dell’olio italiano.
Nel complesso, la giacenza totale di olio in Italia raggiunge oggi 202.920 tonnellate, in aumento del 27,7% rispetto alle 158.745 tonnellate del novembre 2024. L’extravergine sfiora le 153.000 tonnellate, mentre restano marginali le quantità di olio vergine. Crescono invece le giacenze di olio raffinato e di sansa, con la Toscana in testa per il raffinato e la Calabria che spicca per la presenza di lampante.
In questo scenario si inserisce la riflessione di Tommaso Loiodice, presidente di Unapol (Unione nazionale associazioni produttori olivicoli) e voce autorevole del mondo olivicolo nazionale e pugliese. «Che il fabbisogno di olio sia superiore alla capacità produttiva del Paese Italia è un dato di fatto - sottolinea - ed è proprio per questo che servono piani di sviluppo seri, a livello nazionale, per aumentare la capacità produttiva di extravergine della nostra filiera». Il nodo, però, non è l’importazione in sé, quanto le condizioni in cui avviene. «Non è accettabile che si facciano speculazioni sull’olio estero, perché i costi di produzione non sono comparabili. C’è bisogno di un patto di reciprocità: noi sosteniamo oneri sociali, ambientali e di controllo che in altri Paesi, extra UE e non solo, semplicemente non esistono».
Loiodice non nega i progressi qualitativi di alcune produzioni straniere, ma rivendica l’unicità dell’olio italiano: «La ricchezza e la qualità dell’extravergine italiano restano insostituibili. E soprattutto noi possiamo garantire sicurezza alimentare, controlli rigorosi, zero pesticidi. Ho seri dubbi che i controlli effettuati nei Paesi terzi siano allo stesso livello di quelli italiani».
Da qui l’appello all’Europa: «Chiediamo che tutti giochino ad armi pari. Se la competizione fosse leale, non avremmo rivali», conclude il presidente di Unapol.
A rafforzare il valore dell’olio pugliese contribuiscono anche le certificazioni: quasi 21 milioni di litri di olio certificato, con 6,1 milioni di Terre di Bari Dop, accanto alle grandi Igp nazionali. Un patrimonio che rappresenta non solo qualità, ma anche identità e salute per il consumatore.
La sfida, oggi, è tutta qui: difendere un sistema che produce eccellenza, evitando che venga schiacciato da una concorrenza che spesso non rispetta le stesse regole. Per la Puglia, che da secoli è sinonimo di olio d’oliva, il futuro passa da investimenti, innovazione e da una tutela reale del valore del proprio prodotto. Solo così il cuore verde dell’olio italiano potrà continuare a battere forte.















