Sabato 08 Novembre 2025 | 11:51

Bicchieri, buste e teli di plastica, mar Adriatico di morte per i capodogli

Bicchieri, buste e teli di plastica, mar Adriatico di morte per i capodogli

 
marisa ingrosso

Reporter:

marisa ingrosso

Bicchieri, buste e teli di plastica, mar Adriatico di morte per i capodogli

In 20 anni qui il doppio degli spiaggiamenti di tutto il Mediterraneo. Le viscere dei capodogli che finiscono i loro giorni spiaggiati in Adriatico sono piene di plastica

Sabato 08 Novembre 2025, 06:50

No, nella pancia della balena non ci sono il burattino Pinocchio e il buon Geppetto suo papà. Le viscere dei capodogli che finiscono i loro giorni spiaggiati in Adriatico sono piene di plastica. Fa la stessa fine anche il misterioso zifio (nome scientifico Ziphius cavirostris), che è una balena che pare un delfino e può immergersi fino a 3.000 metri di profondità. La simpaticissima Stenella striata forse è più furba e solo in pochi casi scambia questi veleni indigeribili per cibo da predare. Di che si tratta? Secondo uno studio appena pubblicato sul famoso «Frontiers in Marine Science», nel periodo che va dal 2009 al 2023 i cetacei sottoposti a necroscopia avevano ingerito nel 45,2% dei casi rifiuti marini costituiti da resti di sacchetti di plastica, bicchieri di plastica, teli di plastica (da attività agricole) e involucri sempre di plastica; nel 41,9% dei casi pezzi rotti di plastica dura e spessa; nel 12,9% corde e stringhe di resistentissima, sempiterna plastica.

Tradotto dall’inglese, lo studio si intitola «Valutazione dell’interazione con rifiuti marini nei cetacei spiaggiati lungo la costa italiana e il mare Adriatico». Forse killer, forse cimitero, proprio questo mare stretto stretto e però lungo e profondo, così invitante per queste creature meravigliose, si rivela essere il luogo in cui più d’ogni altro vanno a morire. Proprio su quelle coste, per lo più basse e sabbiose, la percentuale di carcasse analizzate con evidenza di ingestione di spazzatura marina è il doppio rispetto a quella di ogni altra area del Mediterraneo.

I pugliesi, del resto, lo sanno molto bene. Resta indelebile nella memoria collettiva la mole di quei sette capodogli che morirono, tra atroci sofferenze, sulle coste del Gargano nel dicembre 2009. Un’analoga morìa si ebbe nel settembre del 2014 a Punta Penna (Chieti) con lo spiaggiamento di altri 7 giganti. Tre morirono subito, altri quattro riuscirono a riprendere il largo grazie alla fortunata combinazione di condizioni generali dei capodogli, condizioni meteomarine e, soprattutto, grazie alla mobilitazione di centinaia di persone.

In entrambi i casi, sull’arenile, a cercare di aiutare i giganti, c’era il pugliese Guido Pietroluongo, proprio lo scienziato che è prima firma di questo studio fresco di stampa.

Oggi lui è un ricercatore molto apprezzato del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova ed è tra i coordinatori del Cetacean stranding Emergency Response Team, cioè l’unità d’intervento d’emergenza per lo spiaggiamento dei cetacei dell’Università di Padova.

«Foggiano di Foggia-Foggia», Pietroluongo spiega al telefono con la Gazzetta che oltre che ricercatore, da questo mese è anche docente. Il 41enne si definisce «un figlio del delfino Filippo di Manfredonia». Per i pochi che non lo sapessero, Filippo è stato molto più che un Tursiope maschio di 250 chili. Nel 1998 decise che si trovava bene in compagnia dei manfredoniani e si stabilì a vivere in quel porto. I bambini impazzivano per lui, lo chiamavano e lui interagiva. Nel 2000 da attrazione divenne “eroe” dopo che - così si racconta - avrebbe salvato un 14enne da annegamento. Nel 2004 fu trovato ferito a morte forse da pescatori cui aveva rotto le reti.

«Io sono cresciuto con quel delfino - dice Pietroluongo - Passavo tutte le estati tra Siponto e Manfredonia e mio papà era un velista. Incontrammo un giorno questo delfino e l’abbiamo seguito per 10 anni». Poi Medicina veterinaria a Teramo «e lì - continua - incontro un professore che è un neuropatologo numero uno al mondo per i cetacei, il prof. Giovanni Di Guardo, ora in pensione. Arriva lo spiaggiamento del 2009. Ricordo che mio padre e io prendemmo una sacca e ci trasferimmo su quella spiaggia. Mi laureo e, nel 2014, arriva un altro spiaggiamento di massa, a Vasto, e io sono là. Nel 2015 me ne vado dall’Italia, in Grecia, Spagna, sempre per delfini, tartarughe e foche monache. Poi arriva il Covid e il prof. Mazzariol mi dice “Guido, metti la testa a posto e vieni a Padova”».

Nello studio si chiedono regole Ue sui rifiuti e più collaborazione fra i Paesi del Mediterraneo. Speriamo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)