Stretto fra due enormi bufali, un gruppo di cervidi si fa largo per avvicinarsi ai finestrini delle auto. Sanno che da lì può venire una razione di cibo in più. Almeno una delle carote, che all’ingresso dello Zoo Safari di Fasano, i guardiani distribuiscono agli automobilisti che decidono di visitare il grande parco degli animali, allo stesso modo in cui in Africa si fanno i safari per osservare e fotografare gli esemplari selvatici. Una visita che riempie di emozione: proprio in queste ore la nascita di un cucciolo di gorilla, un evento unico, il primo in Italia dopo quasi 50 anni, un «faro di speranza» - si legge in un messaggio social sulla pagina ufficiale della struttura - «nel cammino verso la conservazione e la protezione della specie».
In swahili, il dialetto parlato soprattutto in Kenya, safari vuol dire viaggio. E lì come allo zoo pugliese, questo viaggio a contatto ravvicinato con branchi di leoni e tigri e gruppi di zebre ed altri erbivori, si può fare. A parte sentiment e dimensioni, l’unica, vera differenza, è che i parchi africani, come lo Tsavo in Kenya, 350 km. ad Ovest delle turistiche Malindi e Watamu, non sono recintati, e soprattutto, i safari si fanno a bordo di fuoristrada con personale specializzato ed armato. Anche perché, gli incontri ravvicinati, possono essere pure con elefanti e rinoceronti, e nei pressi di fiumi e laghi, con i pericolosi ippopotami.
Allo Zoo Safari, durante il tragitto in auto, liberi sono solo - si fa per dire - leoni e tigri, che se cercano di avvicinarsi alle vetture, alla vista delle jeep bianche dei ranger che li tengono sotto controllo, cambiamo subito direzione. Oltre che dalla barriera naturale delle colline silvane, gli spazi entro i quali, all’ombra di carrubi ed olivi miracolosamente sani nonostante l‘avanzata della xylella, si aggirano questi maestosi ed affascinanti felini, è sbarrato da imponenti cancelli, che si aprono e chiudono al passaggio delle vetture.
Così, con l’aggiunta di gazzelle, orici, antilopi ed asini etiopi, la sensazione, è di trovarsi davvero in un angolo del Continente Nero. Che allo Zoo di Fasano, include i già citati rinoceronti, elefanti ed ippopotami, più una coppia di bisonti, mufloni e guanachi, le eleganti giraffe ed i buffi struzzi ed emù. Per motivi di sicurezza, per quanto bene inseriti nell’itinerario del safari, con sbarramenti creati ad hoc, questi ultimi gruppi di animali, si aggirano in spazi organizzati in modo da escludere il contatto fisico con i visitatori.
Fra i trenta ettari del Parco ricco di tremila animali di duecento specie diverse (ci sono pure le pantere nere), c’è ancora tempo per stupirsi. Ultimato il safari con la vista di un cammello e di un dromedario, gli animali che più di ogni altro rimandano alle immagini-simbolo del misterioso Oriente, il grande complesso che da mezzo secolo continua ad attirare migliaia di visitatori (venne aperto il 25 luglio del 1973), riserva altre interessanti attrattive.
Dopo il girovagare fra i chioschetti in legno con gli oggetti dell’artigianato tipico e gli altri più vicini al mondo dei bambini, ecco la sala tropicale con acquario e rettilario dove impressiona una testuggine già vecchia di quasi 90 anni. E poi ancora, il giardino dei lemuri e la Casa delle farfalle, il delfinario con lo spettacolo dei leoni di mare e la vasca dei pinguini di Humboldt, e finalmente, l’iconico trenino, che passando per le aree dedicate ai ghepardi ed alle lontre, trasporta nell’oasi del laghetto con i gibboni, attorno al quale sono le fosse degli orsi polari e dell’orso bruno. Al tramonto, mentre in lontananza, dallo zoo, giunge l’eco del ruggito di un leone, per chi non è ancora pago di animali selvatici, ecco il gran finale fra gli scalmanati babbuini mangiatori di arachidi. Gli stessi, che prima dell’introduzione di un piccolo convoglio protetto dalle sbarre, circondavano le auto dei visitatori, molti dei quali, all’uscita, lamentavano lo smontaggio di fanalini e specchietti.