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Emiliano e l'ultimo anno alla guida della Regione: «Il mio modello Puglia piace anche alla Meloni»

Emiliano e l'ultimo anno alla guida della Regione: «Il mio modello Puglia piace anche alla Meloni»

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

Parla il governatore Michele Emiliano: «Il mio modello Puglia piace anche alla Meloni»

Il governatore pugliese apre il libro dei ricordi: dalla toga a D’Alema. «Il futuro? Serve più peso nel Pd»

Martedì 31 Dicembre 2024, 06:00

01 Gennaio 2025, 19:53

L’«emilianismo», uno schema che include volti, storie, progetti, sconfitte e vittorie, dalla discesa in campo osteggiata dalle nomenclature, passando per l’abbattimento di Punta Perotti, la coabitazione con Nichi Vendola, l’ascesa di Antonio Decaro, fino al consolidamento del centrosinistra più ampio (nell’era Meloni). Il governatore Michele Emiliano ci consegna una serie di riflessioni di fine anno, raccolte in un pomeriggio natalizio.

Presidente, sotto Natale il Consiglio regionale ha approvato il Bilancio con una maggioranza ampia. C’è un segreto nel consolidamento della «coalizione dei pugliesi»?

La cosa più importante e’ stata la capacità di essere equilibrati nel rapporto tra maggioranza e minoranza. In tutti questi anni è rimasto intatto il rispetto reciproco tra noi. Non è da poco in politica.

Quali le innovazioni nella Manovra pugliese?

Siamo riusciti a non alzare le tasse, nonostante ci hanno “fuffato” 60 milioni di euro nel bilancio dello Stato, risorse che avremmo potuto utilizzare per la Puglia. E qui c’è una cosa che mi preoccupa. Abbiamo messo tutte le risorse possibili sulla grande disabilità, sul sostegno famigliare e sul patto di cura, una parte con i fondi Ue e una con i fondi ordinari. Se il governo non ci dà quanto di sua competenza, il sistema crolla. Su questo auspico la ripetizione di un impegno bipartisan, al pari della pubblicizzazione definitiva dell’Aqp, ora di proprietà delle Regioni e dei comuni, considerata dal governo azienda strategica, con Roma che conserva la golden share».

Una sintesi dei provvedimenti più concreti?

Abbiamo varato tra le altre cose la carta d’identità genetica e gli screening neonatali per i bimbi, il social freezing, predisposto migliaia di nuove assunzioni e demolito l’autonomia differenziata. Solo un punto di debolezza, quello del sottofinanziamento della sanità, ma il governo, al di là delle polemiche da superare, ha fatto uno sforzo massimo per venirci incontro. Certo si poteva tagliare la spesa militare, ma anche il Pd è schierato per il sostegno a Kiev.

La firma del Patto per la Puglia un evento storico. Il territorio ha avuto la meglio sull’appartenenza politica?

Il dialogo con il centrodestra è via via migliorato in questi anni. Abbiamo però avuto un momento di crisi gravissimo, che ci preoccupa ancora, connesso alla strumentalizzazione con Codice interno, vicenda non chiusa che ha messo in discussione la prosecuzione dell’esperienza di governo della città di Bari, mentre i pugliesi fanno il tifo per la Puglia e per la città di San Nicola.

A Fitto ha riconosciuto anche l’impegno nella tutela dell’Aqp. Anche lei ha contribuito a convincere la Schlein a farlo votare in Ue?
Il Pd è sempre stato schierato a favore di qualsiasi candidato italiano. Tutto sommato ci poteva andare molto peggio. Fitto è un uomo del Sud, non viene dalla tradizione più radicale della destra, viene dal moderatismo, nel corso della sua audizione ha ripetuto di avere radici Dc. Non so cosa altro potevamo chiedere a Giorgia Meloni.
Il voto di Decaro e dei dem nel parlamento europeo?
Ha anche addolcito Raffaele: a causa di una serie di vicende negli ultimi 20 anni ha sempre avuto il complesso dell’assedio. Ora si è accorto che il mio modello di coalizione dei pugliesi non è fondato sulle categorie amici-nemici, come nel massimalismo della sinistra, ma su altro.
Cosa?
Il progressismo pugliese è patriottico e pragmatico. Non bisogna più limitarsi a chiedere alla destra di essere antifascista, ma di andare sul concreto, come per l’Aqp: una cosa di sinistra fatta con l’aiuto del governo di centrodestra. La sinistra deve sfidare la Meloni non solo sull’identità ma dimostrando di avere idee per governare meglio dei conservatori.
Il suo costruire alleanze è visto come una declinazione progressista del «tatarellismo»
Credo che l’identità politica per i pugliesi viene dopo l’appartenenza all’Italia, al Sud e alla regione. La democrazia è fondata su squadre chiamate partiti, ma queste sigle non sono la finalità del gioco. L’obiettivo è fare il meglio per il popolo italiano.
E il «tatarellismo»?
I pugliesi hanno superato l’8 settembre e le scorie di una guerra civile che ci ha diviso, mentre in parlamento esistono ancora divisioni e veleni per eccessi a sinistra e a destra. La Meloni non ha ancora costruito un destra europea. Ha un gruppo con nostalgie e difficoltà nel concepire il futuro.
Tra le sue ultime «annessioni» c’è quella degli eletti in Azione e Italia Viva, nonostante le ritrosie di Calenda e Renzi. In futuro?
Renzi ha un limite nel non superare l’incomprensione personale, anche se non ho rancori nei suoi confronti né per i dirigenti di Italia viva, partito purtroppo incompatibile con Azione e i 5S. E, dovendo scegliere, il Pd sceglierà questi ultimi. Calenda ha invece mostrato volontà di superare il conflitto passato sulla decarbonizzazione dell’Ilva, nel quale, lo ammetto, ho anche usato toni forti.
La battaglia per l’acciaio pulito è una delle sfide più complesse
La Puglia anche su questo fronte, ha vinto, convincendo tutti, da Zingaretti a Draghi, e anche ha piegato le resistenze della Meloni e di Urso. Ma vorrei essere più utile al governo nel superamento della questione Ilva: è in difficoltà e non sta coinvolgendo nelle decisioni tutti quelli che andrebbero ascoltati. Il contrario di quello che faccio io in Puglia. Bisogna subito mettere le carte sul tavolo, con la massima convergenza tra istituzioni. Spero al più presto che si realizzi il progetto di una acciaieria senza il ciclo integrato e con la decarbonizzazione, binomio che tutela salute e competitività. Sarebbe una rivoluzione e innescherebbe dinamiche virtuose anche in Europa».
Il ritorno dei grillini in giunta si fa attendere. È finita la pazienza con il suo amico Giuseppe Conte?
Non ho nessun fretta. I grillini si comportano come una forza di maggioranza, con distacco dalle posizioni di potere, ma sono coinvolti nelle decisioni cruciali, a volte assunte su loro impulso: dall’infermiere di famiglia all’istituzione del nucleo ispettivo regionale, strumento di legalità importante, che consentirà a giunta e presidente di disporre ispezioni su tutte le attività.
Lancette indietro a 20 anni fa, per qualche aneddoto?
In Puglia comandava Massimo D’Alema. Ero un oggetto misterioso, mi vedeva come un “leader di destra, prestato alla sinistra”. Un vero abbaglio. I miei genitori erano pluralisti, mia madre era della Dc più sociale, mio padre era missino. Quando gli dissi che mi ero iscritto al Pci, mi rispose: “Se sei contento tu, va bene anche a me”. Mia madre lo era meno….
Come comunicò a suo padre l’abbandono della toga per la politica?
Ero l’erede predestinato dell’azienda di famiglia. Rimase colpito quando lo informai che andavo a fare il magistrato ad Agrigento. Quando mi candidai sindaco commento cosi’: “Chess’alde nge vole…” Era un uomo che si guardava tutti i consigli comunali in tv e mi chiedeva dove prendesse tutta la pazienza. Ecco la pazienza è una delle virtù alla base del successo di questi vent’anni.
Il suo rapporto con la Meloni è segnato da alti e bassi ma c’è più feeling che con Renzi.
Non c’e’ mai stata una guerra. La Meloni sul palco di via Sparano festeggiava la sua piazza tricolore ma a Bari abbiamo vinto con il 71%. La Puglia resta la nostra Stalingrado, un simbolo della vittoria sul nazi-fascismo.
A Borgo Egnazia nel G7 avete anche ballato insieme…
Con lei ho un rapporto personale positivo, costruito quando aveva un partito che stava sotto il 4% e mi invitava alle sue manifestazioni baresi, dove andavo per rispetto del pluralismo. Spero assomigli sempre più alla Merkel, e meno alla Le Pen. Sarebbe una evoluzione importante per l’Italia.
Non c’è ancora una data per le prossime regionali. Ha un consiglio da dare a Decaro?
«Gli ho dato tanti consigli negli anni, stavolta passo. È maturato come soggetto politico, non ne ha più bisogno».
Il suo amico Enzo De Luca pensa al tris in Campania. La segretaria dem è furiosa.
Su De Luca serve molta conoscenza della realtà campana, che ha fatto enormi progressi con il suo governo. Il Pd e la sinistra sono sempre tentati da sindromi suicide, dal congresso di Livorno. Il Nazareno deve a De Luca rispetto e gli deve consentire di esprimere il suo punto di vista, tanto più se c’è la legittimità della sua terza candidatura.
In Puglia niente terzo mandato?
Qui la nostra comunità ha individuato una successione nella nuova generazione di politici. La regione ha però bisogno di avere un peso maggiore nel Pd nazionale, con personalità che devono andare in parlamento insieme a Francesco Boccia per difendere con energia le ragioni di questa terra. Nel 2027 vorremmo una pattuglia di parlamentari che spiegasse all’Italia il "modello Puglia”, che qualcuno pensa si regga su trucchi, mentre è il risultato di un lavoro ventennale.
Le ultime inchieste giudiziarie su Bari e la Regione lascia strascichi o lezioni da tenere in conto per il futuro?
Tutte le esperienza negative hanno qualcosa da insegnarti. Quando una comunità si allarga a dismisura per vent’anni è possibile che ci siano eventi giudiziari gravi, come quelli avvenuti anche nell’amministrazione Vendola, e che vanno chiariti. Prima di tirare le conclusioni, la magistratura deve fare il suo dovere, in maniera tempestiva, evitando indagini frutto di gestazione per 4-5 anni, anche se conosco le loro difficoltà. I politici? Se innocenti si devono difendere, ma se colpevoli devono farsi da parte. Basta un singolo errore per sporcare l’immagine di un fenomeno politico come la nostra rivoluzione pugliese.
Dieci anni da sindaco, dieci da governatore. Le manca un salto in Parlamento. E i bookmakers non accettano scommesse sul suo ritiro per fare il nonno…
Se avessi voluto fare il nonno, mi sarei candidato al parlamento Ue, perché ho un nipote a Bruxelles. Ora c'è Decaro. Che succede dopo? I singoli nella coalizione dei pugliesi contano fino ad un certo punto. A Bari e in Puglia, come dimostrato dalla candidatura a sindaco in extremis di Vito Leccese, abbiamo una squadra in grado di fare grandi cose. E ciascuno di noi, se ha qualcosa da dire, qualche partita potrà continuare a giocarla.

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