BARI - Un articolo di legge lungo cinque pagine potrebbe mettere sotto tutela la giunta regionale pugliese sulle nomine in agenzie e aziende. Ma pur avendo avuto 24 voti favorevoli e 20 contrari nella lunga notte del bilancio, la proposta firmata dalla grillina Antonella Laricchia e dal leghista Giacomo Conserva è stata dichiarata respinta. Colpa (o merito, secondo i punti di vista) di una interpretazione dello statuto che ha creato grave imbarazzo e che ora dovrà essere motivata: la Laricchia ha infatti presentato una richiesta di verifica in cui ha documentato quattro casi in cui, nel bilancio 2023, è andata in modo diverso.
La questione è delicata e occorre spiegarne il contesto. Lo statuto della Regione spiega che nelle «materie tributarie e di bilancio» le deliberazioni del Consiglio sono valide solo «con il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri regionali in carica»: servono cioè 26 voti. Ma per tutta evidenza, la proposta che Laricchia, grillina ortodossa lontana dalle posizioni di Emiliano e dalle tentazioni del campo largo, aveva concordato con il centrodestra e con alcuni malpancisti della maggioranza, è - per restare al gergo del Consiglio regionale - «normativa». È cioè una norma ordinamentale inserita nella legge di bilancio, come lo sono la gran parte degli emendamenti proposti dai consiglieri. Nel caso specifico, la proposta Laricchia sottopone le nomine di competenza della giunta regionale al «controllo preventivo» da parte del Consiglio: il governo regionale deve insomma ottenere l’assenso dell’assemblea, senza il quale può comunque procedere ma assumendo una deliberazione motivata.
Si tratterebbe, insomma, di mettere la mordacchia alla giunta, oppure - secondo i punti di vista - di impantanarne ulteriormente le scelte che già oggi sono soggette a spinte e controspinte della politica. Però...