BARI - La Posidonia oceanica sui nostri fondali è spesso messa a dura prova da ancoraggi e reti a strascico che strappano e graffiano un prezioso alleato della salute del mare, dei pesci e delle coste.
Nelle acque di San Vito-Monopoli, Savelletri-Torre Canne e Torre Guaceto è appena iniziato un monitoraggio scientifico delle praterie di Posidonia per capire lo stato di benessere di questa importante pianta nastriforme che protegge e cura i fondali. Affidato a un team di ricercatori dell’Università di Bari guidato da Giovanni Chimienti e Andrea Tursi del Dipartimento Bioscienze, Biotecnologie e Ambiente, si svolgerà per un anno il progetto di ricerca promosso dalla campagna «Foresta Blu» di Coop in collaborazione con LifeGate per il monitoraggio, il ripristino e la protezione della Posidonia oceanica.
«È una specie che ha un fondamentale ruolo ecosistemico – ci spiega Chimienti, biologo marino e National Geographic explorer – che collabora anche al benessere di noi esseri umani».
Perché preservare queste praterie marine?
«Sono importantissime, e per questo tutelate da varie direttive europee come Habitat, perché oltre a produrre ossigeno come tutte le piante sono un habitat fondamentale della zona costiera mediterranea, di cui sono una specie endemica e caratteristica. Non solo. Sottraggono anidride carbonica aiutando ad abbattere gli eccessi di Co2 in atmosfera, che poi è uno dei fattori che ingenera i cambiamenti climatici, quindi di fatto hanno effetti mitigatori. Come prateria ospitano numerose specie che vanno lì a rifugiarsi, alimentarsi e riprodursi e quindi hanno un ruolo in termini di conservazione delle specie ittiche, anche commerciali, senza dimenticare che proteggono le coste dall’erosione marina. Con le radici ancorano il fondale, soprattutto sabbioso, con strutture che si chiamano “matte” e che funzionano da barriere vegetali».
Perché sono a rischio?
«Vanno protette non solo da impatti globali - spiega il ricercatore - come sono i cambiamenti climatici (il surriscaldamento sta contraendo le praterie in tutto il Mediterraneo) ma anche da tutti quegli impatti locali e antropici su cui possiamo intervenire direttamente come gli ancoraggi, l’edilizia costiera, la sedimentazione, gli scarichi organici, l’inquinamento. Fattori tutti che minacciano la sopravvivenza di queste praterie».
Qual è lo scopo del monitoraggio?
«Prima di tutto - puntualizza Giovanni Chimienti - è necessario capire che tipo di impatti antropici ci sono per poterli mitigare. Prima di intraprendere azioni di ripristino è necessario trovare le cause della regressione della Posidonia e poi introdurre i correttivi utili ad evitare che tutto il lavoro si riveli inutile. Alla nostra portata ci sono gli impatti locali: ad esempio, se la causa sta negli ancoraggi, basta introdurre un campo boe per l’ormeggio delle imbarcazioni in modo da non “graffiare” il fondale e fare azioni di educazione ambientale tra i diportisti. Soprattutto quando c’è molta corrente, le ancore strappano le Posidonie lasciando “cicatrici” sulle praterie».
Come sono state selezionate le tre aree?
«Abbiamo cercato praterie significative e di cui abbiamo poche informazioni. Alle Isole Tremiti ad esempio, stiamo già lavorando da tre anni al reimpianto della specie. La prateria Barletta-San Vito- Monopoli, che è la più grande della regione, è geneticamente omogenea fino a Brindisi, e risulta frammentata in corrispondenza dei porti. Quella di Torre Guaceto, che insiste in una riserva protetta dove anche la pesca è regolamentata, funzionerà invece da parametro di riferimento. Lì dove sono meno aggredite dai vari agenti locali, le Posidonie sono più resilienti».
Come si fa a ripopolare le praterie?
«Il riscaldamento dei mari e i cambiamenti climatici stanno stressando tantissimo molte specie marine e lo vediamo soprattutto negli “habitat formers”, quelle specie che, come Posidonie e Coralli, creano habitat ecosistemici per altre piante e animali. Avendo un ciclo biologico australe, la Posidonia ha la fase vegetativa in cui cresce di più in inverno (acqua più fredda vuol dire più ossigeno e nutrienti) e una quiescente d’estate. Aver avuto un inverno molto mite, non ha certo aiutato a rinfoltire le praterie. Inoltre, più una pianta è longeva, più è lenta nella crescita. Così, dove ci sono le “cicatrici”, solitamente la Posidonia non riesce a tornare perché nel frattempo subentrano le alghe che competono per lo spazio ma non svolgono il suo stesso ruolo ecologico. Alle Tremiti tuttavia, abbiamo sperimentato tecniche di reimpianto che potremmo applicare anche in queste tre nuove aree.».