BARI - «È la misura del rialzo del prezzo di vendita» delle mascherine protettive durante la pandemia, fino al 4.100%, «a dir poco smodata», a rendere «evidente l’abuso di quello che andrebbe altrimenti riconosciuto come un diritto spettante a ciascun operatore economico, vale a dire il perseguire un fine di lucro». È la ragione per la quale nei mesi scorsi il Tribunale di Bari ha condannato a un anno e sei mesi di reclusione (pena sospesa) gli imprenditori Gaetano e Vito Davide Canosino, legali rappresentanti delle società 3MC e Penta srl, per manovre speculative su merci, relativamente ai rincari applicati - nei confronti delle Asl pugliesi - nella fornitura di centinaia di migliaia di mascherine Ffp2 e Ffp3 nel periodo del lockdown per l’epidemia da Covid-19 a marzo 2020.
Nelle motivazioni della sentenza il giudice parla di «condotta incredibile» dei fratelli Canosino quando descrive il meccanismo che ha portato i dispositivi di protezione individuale, pagati 36 centesimi l’uno, a costare tra i 12 e i 14 euro, ritenendo da parte degli imputati «la piena consapevolezza della natura illecita dell’operazione».
«I fratelli Canosino - spiega il giudice - non solo non si sono attenuti al prezzo minimo delle mascherine filtranti praticato nel corso della pandemia, pari a 3,80 euro, ma neanche a quello medio di 9,14 euro, andando ben oltre lo stesso e in maniera del tutto ingiustificata, visto il prezzo pagato al momento dell’acquisto». I due imputati sono stati però assolti dall’accusa di aver causato la rarefazione delle mascherine sottraendone al consumo grandi quantità: «È arduo sostenere - secondo il Tribunale - da un lato il compimento di manovre speculative illecite mediante la vendita di mascherine filtranti con rincari elevatissimi e, dall’altro, una indebita sottrazione del medesimo bene al mercato cittadino e regionale».
Il giudice Antonietta Guerra spiega anche perché ha ritenuto di assolvere da tutte le accuse gli altri tre imputati: l’imprenditore Elio Rubino (Aesse Hospital srl), Romario Matteo Fumagalli (Sterimed) e Massimiliano Aniello De Marco (Servizi ospedalieri). Per Rubino «non è emerso che volesse conseguire un guadagno parassitario» dice il giudice, avendo «applicato un rincaro del 49%, identico a quello applicato, in quel momento storico, da altre società presenti sul territorio nazionale». Anche per Fumagalli «la misura del rialzo nel prezzo di vendita (41%) non appare assolutamente abnorme ma frutto di una logica lucrativa coerente con la natura imprenditoriale dell’attività e con le leggi del mercato». Stesso ragionamento per De Marco: secondo il Tribunale il rincaro del 62% è «giustificato da una finalità lucrativa di legittimo guadagno».