BARI - Gli attuali direttori dovevano essere prorogati fino al 30 giugno (più o meno i 45 giorni previsti dalla legge) per dare il tempo alla commissione nominata dal capo di gabinetto, Giuseppe Catalano, di effettuare le verifiche sui requisiti dei 193 candidati alla nomina. Ma (anche) i 10 manager degli assessorati, o almeno nove di loro, si sono trovati nel mezzo della guerra scatenata da Fabiano Amati, il capogruppo di Azione che la scorsa settimana ha dettato le sue condizioni per confermare la fiducia al governatore Michele Emiliano. E al primo posto del papello, della trattativa Emiliano-Amati, c’è una richiesta nemmeno tanto implicita: mandare a casa Vito Montanaro, il direttore della Sanità, individuato da Amati come il responsabile di alcuni «boicottaggi» ai suoi danni.
Prorogare i direttori (Montanaro incluso) fino al 30 giugno sarebbe suonato come un «no» all’ultimatum amatiano. E dunque ieri la giunta ha concesso ai manager appena 15 giorni, il tempo indispensabile per definire la lista degli idonei alla nomina. E dunque per procedere a rinnovare «tutti» i direttori di dipartimento di cui venerdì il consigliere regionale di Brindisi aveva chiesto la «rotazione urgente» come precondizione indispensabile a garantire il sostegno a Emiliano.
La questione sembrava incanalata nel novero delle trattative della politica ma si è definitivamente incancrenita nello scorso weekend. Venerdì, nell’incontro con la maggioranza sulla sanità, Amati ha chiesto a Emiliano anche la «rotazione di tutti i Dg delle Asl». La cosa ha ovviamente fatto molto rumore tra gli interessati. Ma poche ore dopo - nella chat Whatsapp dei direttori generali - Montanaro ha mandato un messaggio concordato con il governatore nel quale invitava i direttori delle Asl «a mantenere la calma», spiegando loro che dell’ipotesi decadenza per mancato rispetto del tetto di spesa farmaceutica (la richiesta di Amati) «ne parleremo insieme al presidente subito dopo il Consiglio regionale del 7 maggio», cioè dopo il voto sulla fiducia. Come dire: non succederà nulla. Il messaggino è però finito su un giornale, evidentemente fatto trapelare da uno dei direttori: una calcolata coltellata alle spalle di Montanaro, di cui - per la verità - non è nemmeno difficile individuare il killer.
A parole Emiliano continua a garantire fiducia a Montanaro, segnale ulteriore del fatto che sta per farlo fuori. La reazione dell’interessato, a questo punto, è inevitabile oltre che umanamente comprensibile. Se rimarrà al suo posto, potrebbe proporre il commissariamento contemporaneo di tutti i direttori generali (sarebbe escluso solo il Policlinico di Bari, rinnovato da tre mesi), con contestuale emanazione di un nuovo bando: così sarebbe messa in atto la rotazione auspicata da Amati, e magari anche il siluramento del direttore-accoltellatore.
Ma è tutto da vedere: diversi, tra gli assessori politicamente più accorti, ritengono che alla fine Emiliano non riconfermerà Montanaro, anche se questo significherà dover cercare un sostituto nell’elenco dei 193 candidati. E dunque accontentarsi di quello che passa il convento: un azzardo, visto lo stato comatoso dei conti e il fatto - ormai accertato - che i ministeri dell’Economia e della Salute, cui spetta la vigilanza sul piano di rientro sanitario, non si fidano (per ottime ragioni) della parola di Emiliano.
Bisognerà capire se Amati si «accontenterà» della testa del direttore della Sanità o se invece insisterà sulla rotazione. Il motivo della rottura con Montanaro non è segreto, e si può agevolmente ricostruire dalle audizioni in commissione Bilancio. Il Dipartimento salute si è infatti messo di traverso sugli screening previsti da una legge proposta da Amati, in quanto vietati - dicono i dirigenti - alle Regioni in piano di rientro (che non possono istituire nuove spese sanitarie). E hanno fatto muro sul centro Nemo, quello per le malattie neurodegenerative, che Amati avrebbe voluto all’ospedale di Monopoli ma che invece nascerà al Policlinico di Bari (l’unico in Puglia, dicono i dirigenti, in cui ci sono tutte le specialità necessarie a farlo funzionare).
Un gioco allo sfascio in cui, come detto, si sono trovati coinvolti loro malgrado gli altri direttori di dipartimento. I 15 giorni di proroga non sono stati accolti bene («Io ho 70 giorni di ferie arretrati», diceva ieri uno tra quelli candidati a essere mandati a casa). E anche diversi assessori hanno fatto notare a Emiliano che non ha senso, a un anno e mezzo dalla fine della legislatura, mettere in discussione tecnici puri come il capo del Bilancio o del Personale: sostituirli significherebbe bloccare la macchina della Regione per mesi.