Per dirla col risvolto di copertina del suo ultimo libro («Ma non ci rompete i coglioni»; NullaDie editore), Antonello Taranto è «psichiatra drogatologo». Con all’attivo 40 anni di professione, già storico direttore del Dipartimento delle dipendenze patologiche di Bari, spiega nel corso della sua carriera ha avuto modo di collaborare anche con l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine «e – afferma - so qual è il loro interesse, ovvero la dimensione criminale ed economica soprattutto. Aspetti importanti, ma ci vuole più interesse per la salute dei ragazzi che vengono giudicati stupidi, delinquenti eccetera e che, in realtà, sono di una fragilità terribile. Inoltre, se la malavita può guadagnare tanti soldi con questi prodotti vuol dire che ci sono anche tanti clienti e il problema vero non è vietare la vendita, bensì evitare che tanti ragazzi possano desiderare le droghe».
E perché le desiderano?
«Una grossa illusione della scienza moderna è la ricerca del piacere. Ma qui si va molto al di là perché i ragazzi che scelgono droghe, e in particolare la cocaina, sono giovani che non hanno coscienza di sé e vivono in una dimensione competitiva basata quasi solo sull’apparire. Circa il sesso vogliono essere i mandrilli più potenti a letto ma senza curare il corpo. Se vogliono andare a scuola vogliono i voti migliori ma senza studiare. E la cocaina consente di ottenere questi risultati».
Sta dicendo che uno non studia e ha buoni voti?
«No perché in un attimo impara 10 nozioni, salvo a dimenticarle dopo due attimi. Cioè la cocaina esalta le funzioni mentali, quindi sfoglio rapidamente il giornale e, in un attimo, memorizzo e sono capace di ripeterle. Ma non soltanto dimentico tutto altrettanto facilmente ma se lei, per esempio, mi dicesse qualcosa al riguardo le risponderei urlando “Ma chi cazzo sei tu?”. Perché aumenta l’aggressività. Anzi, le dico questo: Bari sta vivendo un periodo di allarme sulle baby gang e io se posso permettermi un suggerimento, farei i test tossicologici a tappeto. Perché dobbiamo chiederci da dove escono questi comportamenti? Solo dalla maleducazione? Non è da escludere che sotto vi sia uso di cocaina da parte di questi ragazzini minorenni».
Lei ha parlato del tema delle performance eccellenti, ma non c’è anche il tema dell’insicurezza? Se io conosco me stesso, la mia forza e i miei limiti, sono sicuro del fatto mio, perché mai dovrei cercare la stampella della cocaina?
«Perfettamente. Ma questo lo capiamo lei e io che abbiamo la nostra maturità, non persone che non si sono mai fermate un attimo a pensare “chi sono io?” e che da bambini vengono messi davanti a un monitor e pensano di sapere tutto. Sono fragili, per questo nel momento in cui viene richiesta una performance hanno bisogno di un sostegno esterno».
È la fragilità assieme alle richieste sociali che porta al consumo?
«Le neuroscienze stanno cercando spiegazioni di tipo biochimico, una debolezza dell’architettura neuronale certo c’è, ma è anche certo che vi sia questo quadro».
Cosa dovremmo fare?
«Dovremmo pensare seriamente e lentamente allo stile di vita che dobbiamo costruire per i prossimi 30 anni. Non solo un pianeta “green” per salvarlo dall’inquinamento, ma anche un mondo che salvi i giovani dalla fragilità emotiva e dagli abusi. Guardi, io e i miei fratelli siamo cresciuti in una famiglia monoreddito. Papà usciva al mattino e tornava la sera e mamma ci educava anche con qualche sculacciata. Noi abbiamo avuto una educatrice che ci amava ogni giorno, a casa. Oggi la maggior parte delle famiglie è bi-reddito e, quindi, i bambini da subito sono affidati a un tutoraggio della babysitter, dell’asilo, della scuola di karate, dove trovano anche educatori ma manca l’amore materno e paterno, per cui le relazioni interpersonali si indeboliscono. È l’evaporazione dell’autorità di cui parla Recalcati».
Visto che in questi decenni sono le mamme che si sono trovate un impiego, detta così sembra che emerga una strisciante colpevolizzazione delle donne che lavorano.
«L’aspettavo al varco. Ai tempi in cui ero bambino era normale che l’uomo lavorasse e la donna fosse a casa a fare un lavoro molto più importante e non remunerato. Io dico che dobbiamo aumentare il tempo a disposizione dei genitori, di entrambi, siano uomo e donna o due uomini o due donne. Ci vuole più tempo di genitorialità a casa. Non voglio dire che uno dei coniugi non debba lavorare. Allora anche dare sussidi a pioggia che non si capisce come vengono usati, che senso ha? Gli stessi soldi possono essere spesi per consentire ai datori di abbattere l’orario di lavoro a chi ha figli piccoli. Il principio non è colpevolizzare nessuno, ma aumentare il tempo a disposizione dei genitori, di qualunque sesso siano».
Che consiglio darebbe ai genitori, per quanto lavoratori impegnati, per cogliere i segnali di un consumo?
«Come diceva papa Giovanni XXIII, quando tornate a casa fate una carezza al vostro bambino (anziché dargli un regalo) e vedete se viene colta o se viene vissuta come una stranezza. Questo dovrebbe farci riflettere perché c’è il bambino che non ha intimità anche fisica (sana ovviamente) con i genitori. Dobbiamo sapere che la conoscenza del corpo è anche fondamentale per una sana crescita».