Sul «payback» il Governo pensa a un maxi sconto sul conto di 2,1 miliardi di euro presentato alle aziende che forniscono dispositivi medici, dagli aghi, ai pacemaker, passando per i pannolini e le attrezzature per ospedali. Una manovra che in questa tornata inciderebbe in misura ridotta sui conti della sanità regionali, i cui bilanci devono fare i conti con il riparto nazionale. La «tassa», ricordiamo, è frutto di provvedimenti varati dalle Regioni intorno a metà dicembre, dopo un decreto «lascito» del Governo Draghi che ha dato vita all’imposta creata nel 2015 dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi e per sette anni rimasta dormiente. Nel pieno del caro energia e del nodo carburanti, l’attuale Governo si è ritrovato a gestire questa situazione incandescente che rischia di mettere in ginocchio un settore che dà lavoro a oltre 110mila persone.
imposta retroattivaIl meccanismo della tassazione è questo: fissato il tetto di spesa per i dispositivi medici a livello nazionale (il 5,4%), l’eventuale sforamento sarebbe stato «diviso» tra Regioni e imprese, con il «contributo» da parte di queste ultime di una misura a pari al 50% a partire dal 2017. Quando a settembre è arrivato il decreto dell’ex ministro Speranza che ha attivato l’imposta retroattivamente dal 2015, le Regioni hanno dovuto fare i calcoli e presentare i conti dei primi quattro anni, fino al 2018. Ma non è tutto: per evitare il principio del «pagherò», il decreto ha previsto le compensazioni sulle forniture in corso. In soldoni: non solo le aziende avrebbero dovuto pagare 4 anni insieme, ma se non lo avessero fatto, avrebbero subito il «prelievo» diretto.
LA DIFFERENZA CON I FARMACI - Scenario che ha costretto alcune aziende ad annunciare una eventuale rinuncia a fornire le aziende sanitarieo per tale tassa ritenuta iniqua anche per il meccanismo di prelievo diverso da quello dei farmaci. I medicinali infatti sono oggetto di una negoziazione a monte tra aziende produttrici e Aifa, mentre per i dispositivi medici le aziende partecipano a gare pubbliche con margini limitatissimi, che verrebbero erosi da questa imposta.
IL DEBITO IN PUGLIA - In Puglia il debito ammonta a 246 milioni, per circa 1.600 aziende (in grande medio-piccole), conto che lievita fino a 391 milioni di euro considerato il biennio 2019-2020. Cifra a cui andrebbero aggiunti altri 90 milioni del 2021 (lo sforamento in quell’anno sarebbe stato di poco più di 180 milioni).Dunque, calcolatrice alla mano, le aziende che forniscono dispositivi medici alla Regione Puglia dovrebbero pagare poco meno di mezzo miliardo di euro.
L’EXTRA «SCONTO» - Il Governo con un decreto legge ha sospeso tutto sino a fine aprile. Ma il tempo passa rapidamente e quei soldi incidono sul Fondo sanitario nazionale (leggasi intervista in questa pagina al sottosegretario Gemmato). L’ipotesi su cui stanno lavorando i tecnici del Mef e della Salute prevede una sorta di «abbattimento» del debito di due terzi. In pratica si tratterebbe di una «compensazione» in parte attraverso fondi (700 milioni) recuperati dal Mef e una restamte parte attraversoi una riduzione del contributo del 50%. Resterebbero da pagare, insomma, 700 milioni (in Puglia il conto scenderebbe a 80). Se le cifre sono approssimative, sembrano esserci pochi dubbi sull’ipotesi di lavoro in fase di affinamento da parte degli uffici romani.
IL FUTURO E IL FONDO SANITARIO - Tuttavia all’orizzonte c’è il biennio 2019-2020 e quello 2021-2022. E ogni scelta deve fare i conti con l’impatto sul Fondo sanitario nazionale. Perchè sia per i 700 milioni che residerebbero dal conto sospeso, sia per le somme dovute per le successive annualità in caso di mancato intervento sulla progressività dell’imposta, sarà necessario far quadrare i conti della sanità di cui quelle somme fanno parte. Se per quest’anno il Governo sembra aver messo una pezza ai conti delle Regioni (tra cui la stessa Puglia), gli scenari futuri dovranno prevedere meccanismi virtuosi che tutelino da un lato i conti dello Stato (che su quei soldi ha costruito il bilancio) e dall’altro proteggano il sacrosanto diritto alla salute. Tutto ciò passando dalla salvaguardia della filiera produttiva - quella onesta - da cui dipendono le sorti di aziende e centinaia di migliaia di famiglie.