La separazione delle carriere passa quasi in secondo piano. Secondo la magistratura il vero obiettivo del governo sarebbe un altro: «consegnare il Csm nelle mani della politica». Non usa giri di parole il presidente della Corte d’Appello di Bari Franco Cassano.
Presidente, come mai un giudizio così severo?
«Quella in discussione in Parlamento è una riforma non della giustizia ma della magistratura e dell’ordinamento giudiziario. Si incide in modo profondo sull’assetto che il Costituente ha delineato, ponendo precisi confini tra poteri dello Stato. Il Csm è un organo funzionale rispetto a quell’equilibrio che, invece, la riforma rompe pericolosamente».
La sua sembra una valutazione politica. Ha ragione il Governo quando accusa una parte della magistratura di essere politicizzata?
«Così ragionando si impedisce qualsiasi discussione. Constato ciò che a me pare evidente: il Csm, nato per sottrarre la magistratura alle ingerenze del potere politico, e assicurare che la carriera dei magistrati non dipenda dalla benevolenza o dalla ostilità della politica, viene messo di fatto nelle mani della politica. Se non è contraddittorio tutto questo…».
Csm e separazione delle carriere, cosa caratterizza di più la riforma?
«Già oggi, con la riforma Cartabia, la separazione è nei fatti, dal momento che è consentito un solo passaggio di funzioni, da giudicante a pm o viceversa. I casi in tutta Italia sono pochissimi. Peraltro il numero elevatissimo delle assoluzioni dimostra che nel Paese non c’è alcuna connivenza tra giudici e pm, né alcuno aveva mai posto il problema in questi termini. La separazione delle carriere ha dunque altri obiettivi. Primo fra tutti, il Csm, organo che tutela l’autonomia e l’indipendenza della magistratura».
L’aspetto che preoccupa di più?
«La duplicazione dei Csm, uno per i giudici, l’altro per i pubblici ministeri, che indebolisce la tutela complessiva della magistratura. Un esito non obbligato persino in caso di separazione delle carriere. Infatti, addirittura con legge ordinaria, si potrebbe prevedere un unico Csm, con due distinte sezioni interne, una per i giudici, una per i pubblici ministeri. Per non parlare del sorteggio».
Cosa non la convince?
«Il sistema del sorteggio richiama il principio dell’”uno vale uno”, che forse può valere in politica, ma che certo non può essere utilizzato per il funzionamento di un organo di rilievo costituzionale, qual è il Consiglio superiore, in cui l’essere magistrato è solo una precondizione per il corretto esercizio della funzione di garanzia dell’organo. Il componente del Csm fa un lavoro diverso da quello del magistrato, perché occorrono capacità e propensioni che non sono patrimonio ordinario di tutti i magistrati. La verità è che, attraverso il sorteggio, si indebolisce la rappresentatività dei componenti togati rispetto ai laici, che invece verrebbero sorteggiati all’interno di liste precostituite dalle stesse forze politiche».
Se la dea bendata commette un errore nella scelta dei componenti, cosa succede?
«Affidarsi alla sorte significa svilire il Csm, farne un organo di amministrazione neppure degno di una direzione generale del personale di un qualsiasi ministero. La magistratura tradizionalmente è sempre stata soggetta a pressioni politiche più o meno forti, in particolare dell’esecutivo. La funzione del Csm è proprio quella di affidare nomine, trasferimenti e organizzazione degli uffici ad un organo con il quale la magistratura si autogoverna. La riforma, invece, mette in crisi proprio la ragione per cui il Csm è stato istituito».
Quali le conseguenze concrete?
«Vede, prima della Costituzione, prima del fascismo, le cronache parlamentari narravano con sdegno dello spettacolo indecoroso offerto dai magistrati che attendevano l’arrivo in carrozza del ministro della giustizia, in via Arenula, per rappresentargli suppliche o istanze per il trasferimento o per la nomina a posti direttivi. Se si vuole che il giudice sia soggetto soltanto alla legge, e non ad altri, bisogna evitare che la carriera dei magistrati sia in qualsiasi modo condizionata dalla politica, e questo obiettivo non si ottiene certamente rafforzando la componente politica all’interno del Csm».
Le funzioni disciplinari sarebbero scorporate dai due Csm per essere affidate ad una “Alta Corte”. Come valuta questa parte della riforma?
«Anni fa il presidente Luciano Violante aveva immaginato l’Alta Corte come un organismo costituzionale chiamato a giudicare la responsabilità disciplinare di tutte le magistrature, ordinaria, amministrativa e contabile. Ora viene riproposta solo per i magistrati ordinari, peraltro prevedendo che a farne parte siano solo magistrati che sono o sono stati in Cassazione. Si reintroduce così l’idea di una magistratura gerarchizzata in contrasto, siamo ancora lì, con l’assetto costituzionale, che vuole i magistrati distinti solo per funzioni. La componente togata, ancora una volta, verrebbe scelta per sorteggio».
Caso Palamara, strapotere delle correnti, percezione di una “spartizione” degli uffici direttivi. Non avete proprio nulla da rimproverarvi?
«Certamente sono stati commessi molti errori. Ad esempio, è stata demandata ad altri la tutela delle garanzie processuali, una volta prerogativa della magistratura; non si è percepito per tempo che nel Paese cresceva l’insofferenza per un uso ritenuto eccessivo delle intercettazioni; troppi hanno taciuto sulla spettacolarizzazione della giustizia. Detto questo, i rimedi non possono essere quelli proposti. È una riforma che non serve ai cittadini, non accorcerà la durata dei processi, non inciderà sulle intercettazioni, non darà più sicurezza. Servirà invece a cambiare i rapporti tra i poteri dello Stato».
Un “fallo di reazione” da parte del Governo?
«Cito ancora Violante, questa volta per il suo libro “Senza vendette”: bisognerebbe fare le riforme non per spirito di vendetta, ma per modificare ciò che non va».
A proposito, con che spirito inaugurerà l’anno giudiziario?
«I magistrati sono fedeli servitori dello Stato, rispettano le leggi e continueranno a interpretarle e applicarle, come hanno fatto sinora. Ma sono persone, hanno una dignità da tutelare e sono molto amareggiati per i toni a volte volgari delle polemiche. Non è un caso che ci siano tanti prepensionamenti e dimissioni».
C’è chi sta lasciando la magistratura?
«Sì, c’è chi è stanco di lavorare in un clima di delegittimazione appena siano assunte decisioni sgradite, a volte persino con l’accusa di essere eversivi».
In un quadro così fosco, intravede una luce?
«Continuano ad arrivare colleghi giovani molto preparati, spero consapevoli della responsabilità sociale che comporta l’amministrare la giustizia in nome del popolo italiano».