BARI - «Il referendum che chiede la Regione Puglia, non è sull’autonomia differenziata, già in costituzione, ma sul ddl del ministro Roberto Calderoli, una legge quadro ben diversa per visione rispetto ai tempi in cui le Regioni trattavano con il ministro Francesco Boccia»: il governatore Michele Emiliano, incrociato in una traversa vicino a Palazzo di Città, sintetizza con la Gazzetta le ragioni che lo hanno portato a dettare la linea nell’ultimo consiglio regionale che ha adottata la delibera (poi viziata e da riproporre) per far esprimere i cittadini sulla riforma del regionalismo rafforzato. Il leader barese, in ogni caso, è in prima linea nella mobilitazione promossa da Pd, campo largo e associazioni per raccogliere le firme per un referendum contro un provvedimento definito «Spacca Italia».
«Il nodo - argomenta Emiliano - non è essere contro l’autonomia differenziata tout court, ma contro il tipo di deleghe che il governo nazionale intende promulgare». Il presidente sembra quasi tendere una mano alla premier Giorgia Meloni (che verrà in vacanza in Puglia), evidenziando il cortocircuito tra l’introduzione del premierato lo schema in cui «ogni Regione fa da sè». Di fatto cerca una sponda nell’anima centralista della destra italiana. E poi attacca ancora la Legge Calderoli «perché non dà garanzie alle Regioni alle quali si nega l’intesa, perché secondo Roma non sono in grado di gestire le richiesta che hanno fatto».
La riflessione coglie il cuore della questione, ovvero l’eventualità che venga - con l’introduzione dell’autonomia - limitata la disponibilità della finanza pubblica per le regioni del Sud, dal momento che «Lombardia e Veneto potranno trattenere il residuo fiscale per le funzioni che chiederanno di attivare». «Con che effetti per il bilancio statale?», si chiede Emiliano, e proprio su questo ricorda che «Boccia, da ministro, al tempo aveva previsto un fondo di perequazione di 5 miliardi». Tra le obiezioni c’è anche la formula che esautora il parlamento nell’iter autorizzativo delle varie devoluzioni richieste dalle regioni.
Alla Meloni poi lancia la sfida - dopo averle ricordato in aula il selfie con la battuta su Bari come Stalingrado («E si è visto se era o non era Stalingrado... Noi abbiamo difeso le ragioni della nostra gente, e le stiamo difendendo»): «Se i meloniani sono convinti delle ragioni del progetto di Calderoli, allora partecipino al referendum per difendere le ragioni della riforma. Noi vogliamo solo chiedere al popolo italiano: sei d’accordo o non sei d’accordo?».
Il leader barese, ovviamente, è consapevole che il referendum potrebbe anche non raggiungere il quorum e si duole di una nuova spaccatura nel Paese, che sarebbe stata evitabile «con un accordo tra maggioranza e minoranza, senza fare 20 ordinamenti giuridici diversi, ma potenziando i poteri delle Regioni». Il rischio Babele tra ordinamenti e regole che potrebbero variare da una Regione all’altra: «Potremmo avere potestà sulla scuola, sulla sanità, sull’energia, partorendo venti ordinamenti giuridici diversi. Dove andiamo così?», incalza. C’è anche una considerazione rivolta al collega veneto Luca Zaia: «Lo considero un amico. Credo sia in buona fede quando sbaglia a pensare che l’autonomia di Calderoli faccia bene al Sud. Se fosse in mala fede non renderebbe un buon servizio neppure al Veneto, perché se il Sud crollasse su stesso, abbandonato al suo destino, i primi a pagarne il prezzo sarebbe gli imprenditori del nord che perderebbero il primo mercato di loro riferimento, che è l’Italia meridionale».
La conclusione è di grande realismo, e tiene conto dell’impredibilità degli scenari politici, dalla tenuta del governo Meloni all’eventuale esito della consultazione popolare: «Non dobbiamo cancellare l’autonomia. Vogliamo solo fare un referendum invitando gli italiani, anche quelli dei territori del Nord che potrebbero essere fortemente penalizzati, ad esprimersi su una riforma che tocca temi così delicati. Questa è democrazia, o no?».