Positivo al Covid e malato da oltre un mese, ma praticamente abbandonato dalle istituzioni competenti dopo il primo contatto telefonico, senza istruzioni su come gestire i sintomi persistenti. Questo il racconto affidato alle pagine della Gazzetta da un giovane trentaquattrenne, che denuncia la mancanza di assistenza da parte delle Usco durante il decorso della malattia.
«Mi sono messo in autoisolamento in data 26 ottobre - racconta - a causa dei sintomi influenzali che ho iniziato ad avvertire già qualche giorno prima, in attesa di effettuare il tampone presso un laboratorio privato. Il giorno 29 ottobre 2020, alle ore 9, mi è stato comunicato dal laboratorio, che, il tampone effettuato in data 28 ottobre 2020, aveva avuto esito positivo. Dopo circa mezz’ora, nello stesso giorno, ho ricevuto una telefonata dalle istituzioni amministrative del mio paese, le quali si sono dimostrate subito disponibili nei miei confronti e mi hanno dato disposizioni circa l’isolamento che dovevo osservare, l’assistenza che avrebbero potuto darmi in caso di necessità, come spesa per generi alimentari, acquisto farmaci e ritiro prescrizioni mediche. Il dottore dell’Usco che mi ha chiamato quel giorno, mi ha chiesto come stavo, e mi ha dato indicazioni sui farmaci per combattere i sintomi che avevo in quel momento, quali tosse, febbre, debolezza e dolori al petto. Mi ha detto inoltre che dovevo comunicare alle autorità competenti, eventuali persone con le quali avevo avuto un rapporto ravvicinato entro i dieci giorni prima della data del primo tampone e i numeri che dovevo chiamare in caso di emergenza». Dopo quel primo contatto, però, il nostro lettore denuncia di aver avuto ben poco sostegno da parte delle istituzioni preposte, per lo più risultate irraggiungibili telefonicamente.
«Nei giorni successivi - spiega - ho ricevuto solo un’altra chiamata dall’Usco, per accertarsi del mio stato di salute. Dopo la prima settimana di positività, ho provato a contattare più volte l’Usco per cercare di avere informazioni su come gestire i sintomi, ma solo una volta sono riuscito ad avere risposta, dopo aver effettuato circa 200 telefonate consecutive». Da allora, 15 novembre «il numero al quale cercavo di chiamare, risultava sempre occupato, a qualsiasi ora del giorno e della notte». Intanto i sintomi di tosse, debolezza e febbre alta persistevano. «Il 28 novembre - continua nel suo racconto il nostro lettore - ho ricevuto una telefonata di una responsabile Asp che mi ha guidato all’installazione di una app per chattare, chiamare e videochiamare l’unità Usco o il medico di famiglia. Questa app, chiamata “SOS Covid-19” è stata l’ennesimo buco nell’acqua, perché purtroppo, ogni segnalazione eseguita a mezzo di essa, non ha mai avuto un riscontro e non è stata mai monitorata dal personale sanitario». Gli unici ulteriori contatti sono stati quelli per i successivi tamponi e per il ritiro del saturimetro.
«Mi ritengo una persona fortunata - conclude il nostro lettore - perché il mio medico di famiglia mi sta comunque supportando durante questo periodo; mi ritengo fortunato anche perché, in linea di massima, sto gestendo la malattia come una lunga influenza, ma mi metto nei panni di quelle povere persone che purtroppo si trovano in condizioni di salute molto più critiche della mia».