Orestea è la trilogia di Eschilo (Eleusi, 525 a.C. – Gela, 456 a.C.) che la cultura greca classica ha consegnato per l’eternità. La prima delle tre tragedie che costituiscono l’insieme narra dell’assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra (Agamennone); la seconda della vendetta del figlio Oreste, che uccide la madre e il suo amante Egisto (Coefore); la terza della persecuzione di Oreste da parte delle Erinni e la sua assoluzione da parte del tribunale dell’Areopago (Eumenidi). Con l’Orestea si sono cimentati interpreti famosissimi: e dunque sgomenta chiunque si proponga di portare in scena la mirabile opera di Eschilo.
Con una tale sfida si è cimentato, già nel 2011, Peppino Mazzotta, dando vita a Radio Argo Suite, performance teatrale incentrata sulla precedente Radio Argo, riscrittura dell’Orestea operata da Igor Esposito, con musiche di Massimo Cordovani, eseguite dal compositore insieme a Mario Di Bonito. Lo spettacolo, che ottenne riconoscimenti come il «Premio Annibale Ruccello», il 24 agosto di quest’anno è stato ripresentato all’Anfiteatro Augusteo di Lucera all’interno della «PrimaVera al Garibaldi», una rassegna teatrale che da otto anni regala al territorio lucerino e foggiano rappresentazioni di livello altissimo. Vive con la direzione artistica di Fabrizio Gifuni e di Natalia Di Iorio, affiancati da una squadra competente ed entusiasta: Maria Del Vecchio, Anna Lucia Marucci, i fratelli Giada e Antonio Petrone, altri.
Per un’ora e venti minuti Mazzotta evoca sentimenti eterni, ripercorrendo le vicende precedenti e successive alla guerra mossa dagli Achei a Troia, per vendicare il rapimento di Elena da parte di Paride. Lo fa dando voce a sei diversi personaggi che uno dopo l’altro si succedono sul palco raccontando con ritmo incalzante vicende di violenza, guerra, dolore, sesso, omicidi nella forma più atroce, il sacrificio di una figlia e il matricidio. Le medesime atrocità che, dopo duemilacinquecento anni, affliggono l’umanità. Parla Ifigenia, sacrificata dal padre per rabbonire gli dei ostili: inconsapevole, quasi festante, racconta di essere andata con le sue amiche nel bosco di Pan dove c’è un albero bellissimo a cui lei ha dato il nome di Agamennone, il padre da cui verrà trucidata. Parla Egisto, satollo, ebbro e volgare, che in siciliano risponde «Cu è, chi minchia è?» alle incalzanti sollecitazioni di Clitennestra, che è stata informata del ritorno in patria di Agamennone e ne teme la vendetta; «aviti a parlare cu mi mugghiera, parlati cu Clitennestra, mi mugghiera, nu rumpiti i cugghiuni», blatera ancora Egisto, credendo che i servi disturbino il suo sonno, inconsapevole della morte che poi lo colpirà per mano di Oreste. Parla Agamennone, anche lui ignaro della morte incombente, orgoglioso di possedere una schiava seducente come Cassandra: «Sono ricco, sì sono ricco, ma grazie a me lo siete anche voi. È con la ricchezza che si fa la civiltà, non con l’innocenza, è con la ricchezza che si costruiscono case su case, strade larghe, mercati, teatri, mura ciclopiche; ciclopiche perché lo straniero possa solo immaginare al di là delle mura quale sia la ricchezza della nostra città, e se vorrà magari anche entrarci, col nostro permesso, e rimanerci, col nostro permesso, e farci da schiavo per tutta la vita». E infine Oreste: «Dove sono le guardie, i servi, perché non vengono ad acclamare il nuovo re?»
Fantasmi che tornano in vita per rivelarci che le guerre si somigliano e che l’orrore si ripete, come oggi ci mostrano le immagini provenienti dall’Ucraina e, atrocissime, da Gaza; l’innocenza sacrificata dalla menzogna (come conferma Agamennone) spiega il passato da cui veniamo e il presente in cui siamo immersi. Spettacolo straordinario, Radio Argo Suite, ricco di suggestioni: alla fine applausi scroscianti, pubblico in piedi, mentre Mazzotta ringrazia un po’ intimidito, chiamando accanto a sé i musicisti che l’hanno così sapientemente accompagnato.
Siamo a Lucera, e per un istante sembra di essere in uno dei grandi teatri palermitani, napoletani, romani, fiorentini, milanesi che sono l’orgoglio del nostro paese. Vogliamo che prosperino, i teatri eccellenti, che non entrino in crisi a causa di scelte culturali disastrose. A Lucera, in una terra troppo spesso ricordata per carenze e insufficienze, da anni vive una rassegna teatrale di alto livello, che merita sostegno e supporti concreti da amministrazioni e enti del territorio. Quest’anno a Lucera si sono succeduti Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Fratto_X; Isabella Ragonese e Rodrigo D’Erasmo, Gli amori difficili di Italo Calvino; Ginevra Di Marco e Franco Arminio, È stato un tempo il mondo; Peppino Mazzotta, Radio Argo Suite; Lino Guanciale, Er corvaccio e li morti. Quali altre sedi possono vantare una lista come questa?
Non sono molti i giovani che assistono alla serie di «PrimaVera al Garibaldi». Ed è un peccato, un vero delitto di disattenzione. Tanto più che il biglietto non è caro, si spende di più per una pizza e una birra. Le prediche inutili non servono, e io non voglio essere un predicatore, le mie parole non sono prediche. Ma è giusto chiedersi se puntare sulla qualità, invece che sempre e solo sull’intrattenimento facile, non possa diventare l’obiettivo di una politica culturale lungimirante, praticata da presidenti, sindaci e assessori accorti. Non credo che solo la banalità garantisca consenso e voti, come molti dicono. Quando gli spettatori entrano in contatto con il bello, si abituano a distinguere e a scegliere. E quindi apprezzano la qualità, con beneficio collettivo e con riflessi sul futuro. Almeno, mi piace pensarla così.
Rosario Coluccia