BRINDISI - Fu crivellato di proiettili, ma morì per le percosse alla testa inferte con il calcio di un fucile: così venne eliminato Antonio Presta, 29 anni, figlio di un collaboratore di giustizia di San Donaci (Brindisi), per vendicare un presunto 'sgarbo', l’incendio di una villetta riconducibile a Carlo Solazzo, ritenuto l’autore del delitto. Nell’inchiesta che ha portato all’arresto di 54 persone su 58 destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Lecce, Vincenzo Brancato, su richiesta del pm della Dda Alberto Santacatterina, sono coinvolti anche i presunti autori di un attentato dinamitardo alla villetta privata del luogotenente dei carabinieri Francesco Lazzari, episodio attribuito ad altri due presunti affiliati alla Scu brindisina, Benito Clemente e Antonio Saracino. Il movente, secondo gli investigatori, sarebbe da ricondurre all’intensificazione dell’attività repressiva messa in atto dai carabinieri.
Gli indagati, tutti del Brindisino, rispondono a vario titolo di associazione mafiosa, droga, armi e omicidio. Nel corso dell’inchiesta sono state riscontrate le dichiarazioni di 16 collaboratori di giustizia. Sono stati altresì delineati gli equilibri criminali e l’organigramma della cosiddetta frangia mesagnese della Scu. Due i gruppi oggetto di inchiesta. Uno operativo a Cellino San Marco, l’altro a San Donaci. Secondo quanto sarebbe emerso, i due gruppi criminali operavano in simbiosi e nel pieno rispetto territoriale, evitando pericolose sovrapposizioni e attriti ritenuti 'sconvenienti'.
Capo assoluto sarebbe stato Pietro Soleti, che si sarebbe avvalso di due luogotenenti, Floriano Chirivì e Benito Clemente, citati peraltro dal collaboratore Sandro Campana. Le armi sarebbero state reperite grazie ad un cittadino slavo dall’est Europa, attraverso il canale del Montenegro. Registrato, inoltre, un ritorno ai riti di affiliazione compiuti per lo più il sabato, come da tradizione mafiosa.