Non è una Bari da cartolina, grazie al cielo, quella di Una vita davanti a sé, con Sophia Loren diretta dal figlio Edoardo Ponti. Il film sarà da venerdì 13 novembre in streaming su Netflix (167 milioni di abbonati in 190 paesi). Bellissima qual è con i panorami marittimi e nei vicoli della città vecchia, ma anche al porticciolo di Santo Spirito, nonostante qualche concessione al folklore, Bari appare e risalta nel film come una «indistinta» capitale mediterranea. È multietnica, vivace di scambi e di traffici talora illegali, con una qualità metropolitana esaltata dal set principale nei pressi della stazione centrale. Insomma è Bari, ma potrebbe essere Algeri o Barcellona o Napoli, senza per questo perdere in fascino, anzi, guadagnandone.
La vita davanti a sé è un celebre romanzo anni Settanta dello scrittore francese di origine ebrea lituana Roman Gary, che lo diede alle stampe con lo pseudonimo di Emile Ajar, vincendo sotto falso nome il suo secondo «Goncourt», il più prestigioso premio letterario oltralpino. Questo e gli altri libri di Gary li trovate tradotti in Italia nelle edizioni Neri Pozza, che quest’anno sono tra le più «frequentate» dal cinema avendo in catalogo anche Tre piani dell’autore israeliano Eshkol Nevo, cui Nanni Moretti si è ispirato per il suo nuovo e omonimo film, la cui uscita è stata rinviata a causa della pandemia.
A proposito di Israele, da La vita davanti a sé il regista Moshé Mizrahi trasse una pellicola che nel 1978 si aggiudicò l’Oscar per il miglior film straniero, con Simone Signoret nel ruolo che ora è della Loren, la quale a sua volta potrebbe ritrovarsi fra i protagonisti della Notte delle Stelle fissata per il prossimo 25 aprile, Covid permettendo. Del resto, la storia ha una matrice ebraica incisa sull’avambraccio della protagonista, l’anziana ex prostituta Madame Rosa: gli indelebili numeri di riconoscimento degli internati nei lager nazisti.
Madame Rosa è una sopravvissuta. Dopo la guerra, nello scenario meridiano, prova a non rimanere prigioniera dell’orrore, coltivando tuttavia uno scrigno segreto di ricordi infantili nel sotterraneo del palazzo in cui abita: una fotografia ingiallita delle mimose che la folgorarono in quel di Viareggio negli anni felici dell’infanzia con i genitori o gli oggetti rituali della tradizione ebraica come i due candelabri d’argento che danno il via alla trama.
Tutto è credibile. Del resto, il grande scrittore israeliano Aharon Appelfeld, sopravvissuto alla Shoah, ci raccontò che, tredicenne in fuga da un campo di sterminio nell’Europa centrale, giunse sulle nostre coste all’indomani della Liberazione, donde si imbarcò per la Palestina, ma soltanto in seguito «scoprì» di essere partito da Bari e non da Napoli come credeva all’epoca. Già, Madame Rosa è una dei tanti ebrei che hanno «rimosso» l’Olocausto nella speranza o nella comprensibile illusione di non soffrirne il tragico lascito. A rimetterne in gioco la memoria è l’incontro con un ragazzino senza genitori, senegalese e musulmano, Mohammed detto Momò (Ibrahima Gueye), affidatole da un amico, il medico ebreo dottor Coen (Renato Carpentieri).
È lo stesso adolescente che le ha scippato poco prima una borsa con i due candelabri e Madame Rosa di certo non lo vorrebbe in casa, lasciandosi infine convincere in cambio di settecentocinquanta euro al mese. Comincia dunque una convivenza con altri due bambini lasciati lì da prostitute amiche di Rosa, la più piccola figlia della trans Abril Zamora (vista nella serie spagnola Vis a Vis). Momò nel frattempo si presta a spacciare droga, finché a sua volta non fa pace con se stesso e con la propria tradizione culturale, anche grazie a un commerciante musulmano di Bari Vecchia (Babak Karimi). Fanno testo le visioni del Leone dell’Islam che nottetempo gli fa visita. Sarà lui, il dodicenne scavezzacollo orfano della mamma, ad accompagnare Madame Rosa verso l’ultimo viaggio, scoprendo il potere salvifico della Parola che in fondo accomuna le religioni monoteiste.
Sceneggiato da Ponti con Ugo Chiti, musicato con gusto postmoderno da Gabriel Yared (nella colonna sonora figurano Maneskin, Guè Pequeno, Laura Pausini), La vita davanti a sé è prodotto dalla «Palomar» di Carlo Degli Esposti e Nicola Serra per Netflix, con il sostegno di Apulia Film Commission. Sophia Loren è tornata in Puglia trent’anni dopo Sabato, domenica e lunedì di Lina Wertmüller da Eduardo (1990, set a Trani, dove anche stavolta sono state girate alcune scene). Nel film è un’icona dolente e auto-ironica della sfida vitale nonostante ogni avversità: «Son vecchierella ormai», dice. Ma Sophia è indomita, corrusca, magnifica, e, da Bari, parla ai nostri giorni così difficili.