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Tibet - Nei monasteri al via «rieducazione patriottica» cinese

Tibet - Nei monasteri al via «rieducazione patriottica» cinese

 
Tibet - Nei monasteri al via «rieducazione patriottica» cinese

Mercoledì 26 Marzo 2008, 00:00

20 Maggio 2025, 16:53

PECHINO - Si stringe la morsa di Pechino attorno alle regioni a popolazione tibetana, a cominciare dai monasteri buddisti dai quali è partita l'ondata di proteste delle due scorse settimane. Da Lhasa e da tutte le enclave tibetane, che rimangono inaccessibili a testimoni indipendenti, giungono notizie di una massiccia presenza militare, mentre le autorità cinesi annunciano una «intensificazione della rieducazione patriottica» nei monasteri.
Il portavoce del ministero degli esteri Qin Gang ha intanto diffuso una dura risposta al presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha ventilato la possibilità di boicottare la cerimonia di apertura delle Olimpiadi se la situazione non migliorerà. Le dichiarazioni di Sarkozy, ha sostenuto il portavoce «violano lo spirito olimpico».
La situazione rimane poco chiara nei tre grandi monasteri di Lhasa (Drepung, Sera e Ganden) che dal 10 marzo sono circondati dalla Polizia Armata del Popolo (Pap). Secondo voci non confermabili, un monaco si sarebbe impiccato per protesta in uno dei primi giorni della rivolta, iniziata con quattro giorni di manifestazioni pacifiche che sono sfociate il 14 marzo in violenze nelle quali, secondo le autorità cinesi, sono morte 19 persone. Proteste anticinesi si sono in seguito verificate in una quarantina di località a popolazione tibetana. Un poliziotto è stato ucciso nel corso di una dimostrazione nel Sichuan. Fonti tibetane parlano di un numero totale di vittime tra le 80 e le 140, di un migliaio di feriti e di centinaia di arresti. Oggi, in una conferenza stampa all'Europarlamento, a Bruxelles, il presidente del parlamento tibetano in esilio Karma Chopel ha parlato di 135 morti confermate.
Le ultime manifestazioni di cui si ha notizia si sono svolte lunedì scorso nelle province del Sichuan e del Qinghai. Un testimone ha riferito che nella provincia del Qinghai, che ha una forte presenza etnica di tibetani, gli agenti di polizia «hanno picchiato i monaci, facendo infuriare la gente comune».
In una conferenza stampa a Pechino degli studiosi tibetani filocinesi hanno confermato l'intenzione delle autorità di «intensificare l'educazione patriottica» nei monasteri tibetani nel prossimo futuro. Lo scopo è «contrastare la cricca del Dalai (Lama, il leader tibetano e premio Nobel per la pace che vive in esilio in India dal 1959 - n.d.r.) che cerca con tutti i mezzi di bloccare lo sviluppo del Tibet e di sabotare le normali pratiche del buddismo tibetano», ha sostenuto Dramdul, il direttore dell'Istituto per gli Studi Religiosi del Centro per la Ricerca sul Tibet di Pechino che, come molti tibetani, usa un solo nome.
La Cina accusa il leader tibetano di aver organizzato la rivolta e pianificato le violenze per «sabotare» le Olimpiadi di Pechino. Il Dalai Lama ha respinto le accuse, dichiarandosi contrario al boicottaggio che è stato proposto da alcuni gruppi umanitari. Nel corso della conferenza stampa il direttore del Centro Lhagpa Phuntshogs ha affermato che i monaci che hanno partecipato alla rivolta «vogliono restaurare la teocrazia... loro non sono contenti che la teocrazia sia finita in Tibet... e non sono contenti per il fatto che il Tibet non è più arretrato».
La necessità di rilanciare l'"educazione patriottica», introdotta nei monasteri nel 1996, è stata menzionata nei giorni scorsi dal ministro della pubblica sicurezza Meng Jianzhu, che si è recato in visita a Lhasa.
In quella che il Club dei Corrispondenti Esteri della Cina (Fccc) ha definito un'iniziativa «assolutamente inadeguata», il governo ha invitato oggi 13 giornalisti a visitare Lhasa, dove domani potranno intervistare le vittime delle violenze del 14 marzo, in maggioranza commercianti cinesi. Uno dei reporter, Charles Hutzler dell'Associated Press, ha scritto che «il viaggio in autobus dall'aeroporto al centro di Lhasa è stato volutamente lento, 90 minuti per coprire 40 miglia (circa 64 chilometri), nonostante i ripetuti inviti dei giornalisti ad accelerare...». Il giornalista riferisce inoltre che l'autobus è stato fermato ad uno dei numerosi posti di blocco incontrati lungo la strada e che «nonostante la televisione di Stato cinese abbia mostrato ripetutamente scene di distruzione, i danni visibili sono limitati». I mezzi d'informazione cinesi hanno continuato a lanciare infuocate accuse contro la stampa occidentale paragonandola a quella della Germania nazista.
Beniamino Natale

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