«Un duplice omicidio che poteri occulti volevano far passare per incidente domestico perché i due fidanzatini erano testimoni di verità scomode": lo ha scritto Luigi De Magistris in riferimento alla morte Luca Orioli e Marirosa Andreotta, i due fidanzati ventenni trovati senza vita in una villetta a Policoro (Matera) il 23 marzo 1988.
L’ex magistrato ha condiviso sul proprio account Facebook un video dell’intervento della mamma di Luca, Olimpia Fuina, tenutosi ieri sera - giovedì 12 settembre - a Tursi (Matera) scrivendo: «Nella mia indagine 'Toghe lucane', negli anni 2005-2008 (quando era pm a Catanzaro, ndr) avente ad oggetto un sistema criminale istituzionale che soffocava la Basilicata, con al centro toghe sporche, mi imbattei anche in questo duplice omicidio. Stavamo vicini alla verità. Anche l’indagine toghe lucane, come quelle sull'accaparramento di un fiume di denaro pubblico e delle massomafie, mi è costata la toga di Pubblico Ministero. Mai mollare, fuori la mafia dallo Stato!».
«Ho chiesto al vescovo della Diocesi di Tursi-Lagonegro, monsignor Vincenzo Carmine Orofino, di intervenire presso chi, testimone importante di circostanze rilevanti, perchè adempia all’obbligo che assume buon cittadino di dire la verità": lo ha comunicato l’avvocato Antonio Fiumefreddo, per conto della signora Olimpia Fuina, la quale chiede giustizia per la morte di suo figlio, Luca Orioli e Marirosa Andreotta, i due fidanzati trovati senza vita in una villetta a Policoro (Matera) il 23 marzo 1988.
Nello scorso mese di agosto, l’avvocato ha presentato un’istanza alla Procura generale di Potenza per chiedere l'avocazione delle indagini, dopo l’ennesimo rigetto dell’istanza di riapertura da parte della Procura di Matera. Secondo la giustizia italiana, a causare la morte dei due ragazzi fu una folgorazione o un’intossicazione da monossido di carbonio. Una versione che Olimpia Fuina non ha mai accettato.
Oggi, l’avvocato ha spiegato di essere stato costretto a scrivere una lettera a monsignor Orofino, dal momento che "figurano tra i testimoni indicati e da sentire, anche ad indagini difensive, alcuni sacerdoti di Policoro, viste le difficolta rinvenute nell’ottenere la possibilità di ascoltare costoro, e tra questi chi è stato testimone diretto della scena del crimine, essendoci stata manifestata una chiara ritrosia a rilasciare dichiarazioni testimoniali».
Da qui il messaggio per riferire «dell’anomala condotta mostrata da chi veste l’abito religioso» con la speranza che "anche chi appartiene alla Chiesa dia il contributo dovuto all’accertamento dei fatti e collabori così a fare piena luce su quel tragico evento contribuendo ad assicurare alla giustizia i colpevoli».