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Un universo di spigolature estive con l’incubo tasse

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Quando c'è la salute, c'è Michele Mirabella

Il prossimo 20 luglio c'è l’ultima scadenza per pagare balzelli di ogni tipo e natura. Dopo di che potremo pensare a noi stessi:..

Domenica 16 Luglio 2023, 12:20

Spigolature estive. La prima. Anni or sono, a Bari, colsi una locuzione adirata, anzi, uno sfogo imbestialito. Un tale, all’edicola, leggiucchiando un giornale finanziario in cui si parlava del fisco esoso che si sarebbe avventato ancora sulla casa, compitava: «l’imu, l’imu» e concludeva sbuffando, «Li murt ca’ tin». A voce bassa, mormorando e indirizzando quella giaculatoria insultante ad un «tu» preciso, non generico o immaginario, quel «tu» che era lo Stato, il governo, il ministero delle finanze. Adesso credo di poterlo rassicurare che sulla prima casa non debba pagare più. Per ora. Il gabelliere potrebbe ammettere di non riuscire a far pagare gli evasori e potrebbe decidere di rifarsi, per l’ennesima volta, con i cittadini onesti e di tassare anche le uniche case.

È lo stesso prossimo gabelliere esoso che ci e vi sta rovinando le vacanze, costretto ad istigare ansia da tempo immemorabile. E, forse, quell’uomo della strada che ricordo agitarsi all’edicola (allora c’erano. Ed erano preziose) insolentiva gli antenati di quel mostruoso essere tentacolare che raduna nel suo corpaccione famelico le centinaia di migliaia di evasori che, con la loro attività criminale, rubano allo Stato, agli altri contribuenti, ai cittadini onesti centocinquanta miliardi di euro ogni anno. «Li murt d’ chidd», si direbbe in vernacolo vendicativo.

Con luglio possiamo, noi Italiani, pensare a noi stessi. Pare, a conti fatti, fatti da malinconici esperti contabili e da economisti depressi, che con la fine di giugno, entrando nella costellazione del Cancro, abbiamo finito di lavorare solo per lo Stato. Mi dice lo stremato commercialista essere il prossimo giorno 20 luglio l’ultima scadenza per pagare, cioè, tasse e balzelli di ogni tipo e natura. Dopo di che potremo pensare a noi stessi: a fare una vacanza, a comprare una camicia, a mettere da parte due soldi per la riapertura delle scuole, il rinnovo del guardaroba e dei libri di testo? E del diario. Su questo pregheremo i figli di appuntare la data che segnerà, l’anno prossimo, il limite temporale del lavoro per lo Stato e l’inizio del lavoro per noi stessi.
Sarà, temo, spostato alla costellazione del Leone in cui, peraltro, già, quasi, ci troviamo: infatti abbiamo girato la pagina dell’almanacco da muro e scopriamo di aver doppiato la metà dell’anno, anzi, siamo oltre. Luglio sta ultimando le sue caldissime giornate e siamo andati a spiare l’ottava pagina. Per vedere se riusciamo a raggranellare qualche risorsa per fare una gita.

Ed ecco la seconda spigolatura estiva. Amo i calendari. Da bambino li guardavo incantato: non solo quelli illustrati da vedute di paesi lontani o impossibili: plaghe fiorite, incantevoli baie di sirene, orridi meravigliosi di altitudini innevate. Io guardavo con avidità anche l’umile repertorio di giorni e santi compilato di righe rosse e nere con, al piede, la pudica pubblicità del digestivo delle fabbriche premiate o la reclame della farmacia o della tipografia che avevano stampato e regalato il calendario.
Il tempo, in quell’icona numeraria, mi sembrava regolato da mano umana che eccedeva la disciplina contabile del tipografo per dedicarsi al fluire delle stagioni e al repertorio delle effemeridi. I calendari con le donne nude non si usano più: si provvede con il singolo vizio voyeuristico soddisfatto dai telefonini. Non sono nude, sono discinte o svestite. Non si trovano più calendari con le signorine anonime e sconosciute, disegnate e velate. Mi mettevano allegria con quella neutralità della bellezza finta e smaltata: donne lontane e impossibili come le valli delle Svizzere almanaccanti d’un tempo, donne che non pretendevano d’essere corteggiate o sedotte, ma, con l’affabilità del loro silenzio di carta, chiedevano solo d’essere ammirate, irreali com’erano. I ritratti di donne vere non mi piacciono sull’informatica, non mi piacciono perché, quelli, si, sono artificiali e mi fanno sentire voyeur. Quelli di un tempo, eredi dei maliziosi almanacchi da barberia, profumati di lavanda, erano civettuoli, maliziosi, mai scabrosi, con quelle donne anonime e immaginarie. Panorami docili allo sguardo malinconicamente svagato che dilatava il pudore privatissimo della paura per il tempo che passa in un’onda di fantasia quasi adolescenziale.

Terza spigolatura estiva, istigata da una tenda spropositata allestita in una bella spiaggia pugliese dall’arroganza di un maleducato. Cacciato: finalmente si sta affermando una sensibilità che si ribella all’arroganza del turista e del villeggiante (no, vacanziere no, non lo userò mai!). Spesso costoro si sentono legittimati a comportamenti incivili e scabrosi, per dir poco. Insozzano strade, parchi, piazze, chiese e monumenti, bivaccano insolenti e spogliati (nudi, no, il nudo è bello e loro sono orribili), mangiano e bevono dove capita, si lavano nelle fontane monumentali, scrivono sui muri, incidono affreschi, fotografano tutto e non guardano nulla. E quanto alle spiagge, viene la malinconia e vedere lo strame che ne fanno. Secondo me sono evasori abituali. Basta, dicono dai Comuni e dalle prefetture. E basta! Aggiunge il cittadino onesto che paga le tasse come ordina il calendario. Anche la prossima feroce scadenza del 20 luglio.

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