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Noi, matricole del ‘62 in un altro mondo

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

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Franco Cassano, studente, forse cominciava in quei giorni autunnali la bella impresa ideologica che sarebbe culminata nel suo «Pensiero meridiano»

Domenica 15 Gennaio 2023, 13:35

Le matricole dell’anno accademico 1962-1963 dell’Università di Bari si accorsero di aver ereditato un mondo nuovo e molto complicato solo tardi, quando già avevano sostenuto qualche esame. Franco Cassano, studente, forse cominciava in quei giorni autunnali la bella impresa ideologica che sarebbe culminata nel suo Pensiero meridiano.

Il Sud sembrava lanciato in un percorso di rivincita, la sonnolenta, immensa provincia di cui sembrava uniformemente composto, si stiracchiava svegliandosi. E pensare che gli sbadigli sempre più stentati volevano segnalare che l’appuntamento con la modernità era diventato non rinviabile. I giovani che eravamo scoprivano di essere simili a tutti gli altri coetanei italiani, europei e mondiali, con le stesse titubanze esistenziali, la identica temerarietà e le stesse avventatezze politiche e culturali che meravigliosamente s’avviavano a cercare di capire il mondo con lo stesso sistema di sempre: cambiarlo.
Il vecchio Bertolt Brecht che veniva dai «boschi neri» (traduzione poetica del toponimo «Foresta Nera», ma, forse, anche allusione tremante di paura), aveva ammonito che teatro, letteratura, poesia e, quindi, cinema e arti non potevano, certo, esserne gli strumenti, questo no, ma potevano dimostrare la necessità irrinunciabile di cambiarlo questo mondo inteso come sistema sociopolitico.

Mario Sansone teneva lezione nell’aula prima di Lettere, quella che diventerà di lì a poco, una ridotta di scioperati da pensosa barricata di scioperanti che avrebbe potuto essere, nel fuoco pirotecnico più che ideologico del ‘68. L’indimenticabile autore della Storia della Letteratura Italiana. La lucidità, il rigore, l’acume severo modulavano un indimenticabile corso di studio sul Manzoni e un convegno fecondo di conclusioni fruttuose sul Machiavelli. Giuseppe Semerari diede di piglio teoretico ad Husserl e alla fenomenologia. Ettore Lepore s’ostinò a farci approfondire la Crisi del Principato tra Marco Aurelio e Commodo, Virgilio Paladini, mantovano, guarda un po’, impose la sua auctoritas con la vastità dei suoi studi. Adriano Prandi suggeriva nelle sue dispense di approfondire i problemi della critica da Cimabue a Leon Battista Alberti e Paolo Chiarini importò all’Ateneo barese poesia e teatro di Bertolt Brecht. Appunto. Per nessuno ho usato il sacrosanto titolo accademico di Professore. Furono, e sono ancora per me, Maestri.

Ci avventammo con entusiasmo su dottrina conosciuta e saperi nuovi, sulla sfida di quei contenuti inediti. Quanto a Machiavelli e Manzoni, ebbene, ci sembrava d’avere a che fare con vecchie conoscenze. Sbagliavamo, naturalmente, perché ben altro e nuovo era il metodo d’approccio, nulla di terrorizzante come quel Tedesco della Foresta Nera che veniva scombinare l’idea che avevamo, io di certo l’avevo, del teatro di poesia e di tradizione che quel Bertoldo lì così tenacemente criticava con la definizione umiliante di «Teatro gastronomico». E quel Principato, che cosa diavolo era? Solo e semplicemente Roma e i suoi domini, ma s’aveva da chiamar Principato e fu la prima volta che sentimmo parlare di Commodo principe. Un tiranno feroce dopo il quale Roma si chiamò Impero.

Quanto alla Letteratura Latina, a noi che avremmo, poi, dovuto insegnarlo, il Latino, fu inflitta la dispensa di Esercitazioni di traduzione dal e in Latino, prezioso manuale che imparammo quasi a memoria: il problema era quel «dal e in latino» che avremmo ritrovato nello sbarramento dell’esame scritto che tanti amari sudori costò a tanti di noi. Oggi è rimasto qualche insegnante, il Latino è, pressappoco, sparito. Un delitto.

Quanto alla Fenomenologia di Husserl, io ne praticai, maldestramente, gli esordi nella «dispensa» accademica in un’Università giovane e arrembante. Anno 1963.

Coincise quell’arco di tempo con la morte di Giovanni XXIII e quella di Kennedy. Il Presidente del mondo nuovo e dei giovani alle prese con la nuovissima frontiera e il Papa «della luna» a me così caro e simpatico che gli affidai la buona sorte del mio primo esame di Letteratura italiana. Mi fu chiesto di Ulisse dantesco e navigatore dell’ideale. Ringraziai in cuor mio il professore di Italiano che m’aveva suggerito d’imparare con passione quel passo della Commedia e nulla lasciai d’intentato per conquistare la commissione: perfino una lettura recitata che fece un certo scalpore ed ebbe successo soprattutto nel bel sorriso compunto di una graziosa esaminanda bionda che sembrava un’icona preraffaellita. Alla morte di Kennedy seguì un appassionante dibattito tra noi giovani: è vero che era stato il combattente della nuova e urgente missione della libertà, della cultura dell’uguaglianza, l’anticipatore del sogno di Martin Luther King, altra vittima come lui di certo impegno?

Ancora oggi, dopo tanti anni, in cuor nostro, il dibattito continua anche se sembriamo spaesati e lo proseguiamo tra sconosciuti quali siamo o per sconosciuti quali sono le matricole di oggi dell’Università. Ma non possiamo continuarlo nell’Agenzia Einaudi del sobrio e generoso Franco Cipriani che ci vendeva i libri a rate, rate non proprio sicure e puntuali. C’era anche il «Teatro di Brecht». E c’era Franco Cassano.

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